mercoledì 2 ottobre 2013

Il Rinascimento - Villa Madama a Roma


Villa Madama a Roma

Passato il Medioevo, anche la nuova società romana non voleva più stare nei suoi palazzi oscuri di città che erano più fortezze che comode abitazioni. Iniziò la moda di costruirsi ampie ville fuori dalle mura urbane, ove godersi sereni soggiorni in campagna. Un esempio di architettura climatica rinascimentale è la Villa Madama s Roma.

 
Sotto il papato di Leone X, ossia Giovanni di Lorenzo de' Medici (1475-1521), suo cugino, il cardinale Giulio de' Medici (1478-1535), il futuro papa Clemente VII, incaricò Raffaello Sanzio di eseguire un progetto di massima per una villa su uno sperone alle pendici di Monte Mario, a Roma, sulla riva destra del Tevere. Nel suo progetto, Raffaello s’ispirò alla descrizione delle ville di Plinio il Giovane e voleva anche rivaleggiare con ville contemporanee come quella della Farnesina.

 
Raffaello, Villa Madama, Roma, progetto 1518, pianta

Nel 1520, alla morte prematura di Raffaello all’età di 37 anni, un formidabile gruppo di artisti dell'epoca ne curò la realizzazione. Del gruppo facevano parte Antonio da Sangallo il Giovane, che si occupò del progetto esecutivo e dei lavori, mentre fu Giulio Romano, erede della bottega di Raffaello, a dedicarsi alle decorazioni insieme a Baldassarre Peruzzi e Giovan Francesco Penni. Giovanni da Udine si occupò degli stucchi e Baccio Bandinelli delle sculture. I lavori furono terminati nel 1525, dopo l’elezione di Giulio de’ Medici a Papa Clemente VII nel 1523. La realizzazione definitiva del progetto fu compromessa dalle vicende politiche. Nel 1527 ci fu il Sacco di Roma a opera dei Lanzichenecchi di Carlo V e, in quell’occasione, la villa fu saccheggiata e data alle fiamme.

Pianta di Villa Madama, Roma
Il disegno sopra mostra la pianta di Villa Madama come era quando il Palladio visitò Roma nel 1541 insieme al suo tutore e Gianluigi Trissino. X/18, Andrea Palladio (c.1541).
La Villa prese il suo nome da Margherita d'Austria, duchessa di Parma e Piacenza (1522-1586) alla quale piaceva farsi chiamare “Madama”.

Raffaello descrive il suo progetto per la villa in una lettera a Giulio de' Medici con le seguenti parole:

“La Villa è posta a mezzo la costa di Monte Mario che guarda per linea recta a greco (NE). Et perch’el monte gira, dalla parte che guarda Roma scopre il mezzodì et da la opposita scopre maestro (NO) et alle spalle del monte restano lybicco (SO) et ponente (O), et greco et tramontana (N) et maestro; a che V.S. può considerare come gira il sityo. Ma per porre la villa a venti più sani ho volta la sua lunghezza per diretta linea a syrocco (SE) et a maestro, con questa advententia  che a syrocco non vengano finestra né habitatione alcune se non quelle che ànno di bisogno del caldo”.

“Da questo vestibulo s’entra nel atrio fatto alla greca come quello che thoschani chiamano andrione, per mezzo del quale l’homo se conduce in un cortile tondo, il quale heraculo lascia per non confondere, et torno a dire la parte et habitatione del primo cortile. Et perché questo tene del syrocco è mezodì, vi è la cucina e la dispensa e’l tinello pubblico. Et poi vi è una cantina cavata nel monte la quale serve a questi tali lochi publici, ma li suoi lumi sono volti a tramontana: loco freschissimo, come V.S. po’ comprendere”.

“Sopra il turrione che è da man diritta della intrata, ne l’angulo una bellissima dyeta vi è conlochata, che così la chiamano li antiqui, la forma della quale è tonda et per diametro è 6 canne con uno andito per venirne, come al suo fuoco ragionerò, el quale copre detto giardino dal vento greco; da tre parti dello edifitio lo coprano da tramontana et maestro”.

“La dyeta è, come ho detto, tonda et ha intorno finestre invetriate, le quale hor l’una hor l’altra dal nascente sole al suo occaso seranno toche et traspaiano in modo ch’el loco sarà alegrissimo et per il continuo sole et per la veduta del paese et de Roma, perché, come Vostra Signoria sa, il vetro piano non occuperà alcuna parte. Sara veramente questo loco piacevolissimo a starvi d’inverno a ragionare con Gentilhomini, ch’è l’uso che sòl dare la dyeta. Et questa e quanto si fa nel un campo del giardino et nel suo angulo”.

“Da man sinista intrando in questo clytoportico in verso in mezodì se va nelli bagni dove anchora ve se può vedere per la schala secreta per le parti de sopra, le quali sono così ordinate: hanno due camere da spogliarse et poi un loco tepido aperto da ungersi quando che uno se è bagnato et stufato. Et evi la stufa calda et secca con la sua temperatura et evi lo bagno caldo con i sedili da starvi secondo dove l’homo vole che l’acqua li bagni le parte del corpo. Et sotto la fenestra v’è un loco da porvisi a giacere e stare ne l’acqua ch’el servitore può lavare altrui senza farsi ombra. Di poi v’è un bagno tepido et poi un freddo de tal grandezza che quando uno avesse voglia di volere notare”.

Dalla descrizione si apprende la grande attenzione che Raffaello ha prestato all’orientamento della villa verso il sole e verso i venti. Egli orientò l’asse longitudinale della villa in direzione Nordest-Sudest, in modo che l’esedra davanti alla villa guardasse verso Sudest, o come dice Raffaello verso lo scirocco, ma senza disporre finestre o abitazioni verso Sudest, se non quelle che hanno bisogno di caldo.

Andrea Palladio visitò la villa nel 1541 quando era a Roma con il suo protettore, il poeta e umanista Gianluigi Trissino. Egli studiò ogni particolare dell’edificio e ne fece anche uno schizzo che oggi si trova a Londra, nella Library Drawings Collection del Royal Institute of British Architects (RIBA).

Il Rinascimento - Le ville di Costozza


Le ville di Costozza

Dal punto di vista dell’architettura climatica, sono molto interessanti le ville di Costozza, anch’esse in Veneto, dove veniva sfruttato il vento che passa per delle grotte allo scopo di rinfrescare gli ambienti in estate.

A Costozza, frazione del Comune di Longare (VI), nei colli Berici, sulla proprietà dei Trenti, una nobile famiglia di Vicenza, c’erano delle grotte e delle gallerie sotterranee, dette “covoli”, scavate in antichità per estrarne delle pietre. Nei covoli, che comunicano tramite varie aperture con l’esterno, la temperatura dell’aria rimane pressoché constante, intorno ai 10-12°C durante tutto l’anno (1). Quando i proprietari, nel Seicento, costruirono le loro ville su questo terreno, ebbero l’idea di sfruttare l’aria delle grotte per rinfrescarne gli ambienti interni. Collegando i sotterranei dei fabbricati con i cunicoli, i cosiddetti “ventidotti”, alle grotte e, all’interno delle ville, realizzarono un sistema di bocchette che consentivano la regolazione del flusso d’aria. Ancora oggi l’aria fresca penetra nei sotterranei, e, attraverso le bocchette, raggiunge i piani superiori.

 
Ville di Costozza – Planimetria generale
(Leggenda: 1 Villa Eolia, 2 Villa Trento, 3 Casa dei buoni fanciulli, 4 Villa da Schio, 5 Villa Cà Molina, 6 Villino Garzadori, 7 Ingresso al covolo dei venti,
A Covolo dei venti, B Grotta del Marinali, C Covoletti di villa Trento
 
Come si sa, nelle grotte, nei cunicoli e nei locali sotterranei, l’aria ha una temperatura quasi costante per tutto l’anno, pertanto, questi luoghi, in estate li percepiamo freschissimi. In antichità, molte grotte erano usate per tenere freschi viveri e acqua, e, in alcuni casi, anche per refrigerare  le case. Il problema che si poneva era: come convogliare l’aria fresca anche dentro la casa? Nelle ville di Costozza ci si è riusciti grazie ad alcune particolari circostanze.

 

 
Ville di Costozza – Sistema delle grotte

Il flusso d’aria nelle grotte è generato dalla differenza di temperatura e di pressione. Nei periodi in cui la temperatura dell’aria esterna è superiore a quella dell’aria interna, si sviluppa un flusso d’aria per cui, quella calda, che entra nei covoli dall’apertura  in alto, ne esce, raffreddata, dalle aperture più basse. Il movimento è quindi discendente in estate, ed è ascendente in inverno, quando la temperatura dell’aria esterna è minore di quella interna.

 
Ville di Costozza – Sistema delle grotte
 

Andrea Palladio, meravigliato da questo sistema, lo descrive nel primo dei suoi Quattro Libri dell’Architettura, quando parla dei camini, con le seguenti parole (2):

"De’ camini usavano gli antichi di scaldare  le loro stanze in questo modo. Facevano in camini nel mezzo con colonne, o modiglioni, che toglievano suso gli architravi sopra i quali era la piramide del camino, d’onde usciva il fumo, come se ne vedeva uno a Baia appresso la piscina di Nerone; & uno non molto lontano da Civita Vecchia. E quando non vi volevano camini, facevano nella grossezza del muro alcune canne, o trombe, per le quali il calor del fuoco, ch’era sotto quelle stanze saliva & usciva per certi spiragli, o bocche, fatte nella sommità di quelle canne. Quasi nell’istesso modo i Trenti, gentiluomini vicentini, a Costozza, lor villa rinfrescano l’estate le stanze: perciocché  essendo nei monti di detta villa, alcune cave grandissime, che gli abitatori di quei luoghi chiamano covoli, & erano anticamente petraie, della quali credo intenda Vitruvio, quando nel secondo libro, ove tratta le pietre, dice, che nella Marca Trivigiana si cava una sorte di pietra, che si taglia con la sega, come il legno. Nelle quali nascono alcuni venti freschissimi, questi gentiluomini per certi volti sotterranei, ch’essi dimandano ventidotti; gli conducono alle loro case, e con canne simili alle sopraddette conducono poi quel vento fresco per tutte le stanze, otturandole e aprendole a lor piacere per pigliare più e manco fresco secondo le stagioni. E benché per questa grandissima comodità sia questo luogo meraviglioso; nondimeno molto più degno di essere goduto & visto lo rende il carcere de’ venti che è una stanza sotterra fatta dall’eccellentissimo signor Francesco Trento & da lui chiamata EOLIA: ove molti di detti ventidotti sboccano: nella quale per fare che sia ornata e bella e conforme al nome, egli ha sparagnato né a diligenza, né a spesa alcuna”.

Note

(1) Il sistema è brevemente descritto in: Gallo, C. (ed.): Architettura bioclimatica, ENEA 1995 e nell’articolo di Mario Grosso “Principi e tecniche di controllo dello scambio termico edificio-terreno; in: Ambiente costruito, gennaio-marzo 1997, p. 52-62.
(2) Andrea Palladio: I Quattro libri dell’architettura, I. Buch, cap. XXVII

 

Il Rinascimento (XIV-XVI secolo)


Nel Rinascimento si verificano due eventi importanti per l’architettura climatica (1) la riscoperta e la divulgazione degli antichi libri di Vitruvio e degli scrittori agricoli romani, (2) l’espansione e il miglioramento della produzione del vetro piano e il suo utilizzo nella costruzione delle prime serre per la coltivazione di agrumi e piante esotiche.

La riscoperta delle opere dell’antichità

Il Rinascimento è l’epoca della riscoperta degli scrittori classici greci e romani, tra cui anche l’opera di Vitruvio sull’architettura e gli scritti dei cosiddetti scrittori agricoli: Palladio, Columella, Vegezio ecc., autori che hanno sempre evidenziato l’importanza di costruire gli edifici in rapporto al clima e al sole.

L’opera di Vitruvio De architectura libri decemnon fu mai totalmente dimenticata. I circa 80 manoscritti sopravissuti (1), nella maggior parte dei casi conservati nei monasteri di S. Gallo, Cluny, Canterbury e Oxford erano però noti solo a poche persone. L’opera fu tradotta in italiano nel 1414 dall’umanista e storico Giovanni Francesco Poggio Bracciolini (1380-1459), e stampato per la prima volta da Giovanni Sulpicio a Roma tra il 1486 e il 1492.


Già prima della morte di Bracciolini, nel 1452, Leon Battista Alberti (1404-1472) scrisse, sul modello di Vitruvio, il suo libro “De re aedificatoria(opera in latino terminata nel 1452), mentre, più di cento anni più tardi, nel 1554, Andrea Palladio (1508-1580) pubblicò una guida alle Antichità di Roma e, nel 1570, i suoi Quattro libri sull'architettura con illustrazioni di propri progetti e di raffigurazioni di antiche opere architettoniche.

Alberti, lasciandosi guidare da Vitruvio, sostiene che i locali a uso estivo devono essere disposti in maniera diversa da quelli che, invece, si usano d’inverno (2) Le stanze estive dovrebbero essere ampie, offrire ombra ed essere ben ventilate, mentre le stanze invernali potrebbero anche essere più piccole, ma ben soleggiate.

I manoscritti medioevali erano privi di illustrazioni pertanto, anche nel tentativo di rendere più chiari i ragionamenti teorici di Vitruvio, spesso piuttosto enigmatici, si cominciò a corredare l’opera con delle immagini. Nel 1511 fu pubblicata a Venezia una edizione illustrata e, nel 1521, seguì l’edizione illustrata di Cesare Cesariani. Così l’opera influenzò la formazione di un nuovo stile architettonico, quello, appunto, rinascimentale. Sebbene in quell’epoca, molti eruditi europei conoscessero l’italiano, seguirono rapidamente traduzioni in altre lingue europee.

Altre opere antiche che contengono riferimenti all’architettura climatica, riguardano principalmente l’agronomia. Dal punto di vista agronomico, l’opera più importante dell'intera antichità è il De re rustica di Lucius Iunius Moderatus Columella (prima metà del I secolo d.C.), in cui non si parla solo di agricoltura ma, più in generale, delle scienze agrarie e dell’edilizia agricola. Nel 1494, l'umanista Filippo Beroaldo (3) curò una celebre edizione dei testi latini degli scrittori agricoli latini accompagnata da note, concependo tali scritti non per il loro valore filologico, ma per l'utilità pratica che potevano avere per gli agricoltori e costituì un esempio imitato da molti altri editori. Quest’ultimo fatto dimostra tutto il vivo interesse che i proprietari terrieri del XV e del XVI secolo avevano per questa materia.

Palazzi e ville

Nel Rinascimento si diffuse tra i più ricchi la moda di costruirsi delle ville in campagna ove trascorrere con la famiglia i mesi estivi, per divertirsi, ma anche per meglio controllare i lavori dei contadini dipendenti. Molto famose sono le ville progettate dall’architetto Andrea di Pietro, detto il Palladio (1508-1580), in Veneto. Palladio collaborò con Daniele Barbaro, patriarca di Aquileia, che stava commentando e traducendo dal latino il De architectura di Vitruvio, disegnandone le illustrazioni per il trattato. Nel 1554, con Barbaro, Palladio compì un viaggio a Roma per prepararne la prima edizione che venne stampata a Venezia nel 1556.

Ma non vogliamo qui trattare le ville palladiane perché, dal punto di vista dell’architettura climatica, sono più interessanti le ville di Costozza, anch’esse in Veneto, dove veniva sfruttato il vento che passa per delle grotte allo scopo di rinfrescare gli ambienti in estate.

Note

(1) Dal Medioevo esistono circa 80 copie manoscritti, tra cui un testo anglo-sassone e uno carolingo.
(2) Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, I,9
(3) Scriptores rei rusticae Opera Agricolationum: Columella: Varronis: Catonisque: nec non Palladii: cum Philippe Beroalde. excriptionibus. G. Philippi Beroaldi: & commentaris quae in aliis impressionibus non extat. Bologne, Benedicti Hectoris, 1494.

martedì 1 ottobre 2013

Abitare nel Medioevo


Il “Medioevo” è spesso considerato un periodo “buio” che va dal 476 al 1492. Il 476 segna la fine dell’Impero Romano d’Occidente, anno in cui Odoacre (ca. 434-493), re degli Eruli, depose l’ultimo imperatore legittimo Romolo Augustolo (ca. 459-dopo il 476). Nell’anno 1492, Cristoforo Colombo scoprì alcune nuove isole in occidente che, erroneamente, si credeva appartenessero all’India, mentre invece facevano parte di un nuovo continente, qualche anno più tardi chiamato America.

Dopo il 476, in Occidente crollò l’organizzazione politica e amministrativa che aveva caratterizzato l’Impero Romano nel corso dei suoi tempi migliori, e inizia una prima fase in cui le popolazioni del Nord e dell'Est europeo sono in cerca di un nuovo ordine amministrativo, militare, economico e giuridico a livello locale.

Con l’Impero Romano d’Occidente finisce anche l’epoca d’oro della città. Le città europee vanno ridimensionate, ad eccezione di Costantinopoli. L’antica Bisanzio, diventata capitale dell’Impero d’Oriente, riesce persino a rafforzare il suo potere economico; nell’anno 400 conta circa 700 mila abitanti. La città venne dotata di vie larghe e ampie piazze e fu abbellita con palazzi di marmo, chiese, portici, archi, fontane, parchi, biblioteche e scuole. Solo i quartieri residenziali popolari rimasero tali e quali con le loro viuzze strette e alti “casermoni”. Le insulae di Costantinopoli erano persino più alte di quelle di Roma e potevano raggiungere un’altezza di 30 metri (dieci piani) laddove la via fosse stata larga almeno quattro metri. In questi quartieri, il sole era davvero un fenomeno sconosciuto. Costantinopoli fu capitale per oltre mille anni. Solo nel 1453, dopo un breve assedio, la città, abbandonata dall’occidente cristiano, venne conquistata dai turchi.

In Occidente, le città furono ridotte sul lastrico. Colonia, la romana Colonia Claudia Ara Agrippinensium, fondata verso il 49 d.C., nel 355 fu assediata per dieci mesi dagli Alemanni. Cento anni più tardi, nel 455, fu conquistata dai Franchi Sali che ne fecero la propria capitale. Anche Magonza, la romana Mogontiacum, sviluppatasi da un campo militare in un’importante e prospera città, nell’89 d.C. era diventata  capoluogo della Provincia Germania Superiore dove, fin dalla metà del IV secolo, viveva una comunità cristiana diretta da un vescovo.  Verso il 408, la città venne saccheggiata da Vandali, Alani e Suebi. Nel 782, Magonza diventò diocesi e sede di un arcivescovado.

La città più grande d’Oltralpe era Augusta Treverorum, capoluogo della Provincia Belga (oggi Treviri in Germania) che, nel IV secolo d.C. contava tra gli 80 e i 100 mila abitanti e dove, dal 328 al 340, vi risedette l'imperatore Costantino II e, dal 367, Valentiniano I. Nel 407, in concomitanza con l'invasione della Gallia da parte dei Vandali, Alani e Suebi, la prefettura fu spostata ad Arles. Nel V secolo, la città fu ripetutamente occupata e saccheggiata dai Franchi e, nel 451, conquistata dagli unni di Attila. Quindi, intorno al 475, i franchi la conquistarono definitivamente. Verso il 1100, l’area della città era ridotta a un quarto di quella che aveva in epoca romana (vedi mappa).

 
Pianta della città di Treveri in epoca romana e nel medioevo
(Fonte: Böhner in “European Towns” 1977)

Le tribù germaniche non amavano le città, per loro una forma di convivenza sociale sconosciuta, tanto che preferivano di gran lunga costruirsi le case in campagna lasciando andare in rovina i resti degli edifici urbani. La cultura urbana subì dunque un vergognoso declino e una ingloriosa morte. I regni germanici non avevano un capoluogo fisso. Ancora Carlo Magno (ca. 748-814) e i suoi successori governavano da itineranti: si trasferivano con tutta la corte da palatium a palatium, da residenza a residenza, fermandosi soltanto laddove la loro presenza era richiesta. Il palatium di Aquisgrana, dove è sepolto Carlo Magno, è stato costruito con gli spogli, colonne e altri elementi architettonici, recuperati a Treviri. In seguito, molte di queste residenze si svilupparono in importanti centri amministrativi, così come anche molte sedi vescovili si trasformarono in città. Verso il 1100, in Germania, le città cominciarono a crescere e il loro numero cominciò ad aumentare notevolmente.

Le città medioevali erano chiuse all’interno delle loro cinte murarie entro le quali lo spazio era molto limitato. Bisognava perciò costruire in verticale. Case a due, tre o anche più piani erano la normalità. I lotti erano stretti – 5-6 metri di larghezza – e molto profondi. La tipica casa di un artigiano aveva tre piani. Al piano terra c’era la bottega o il laboratorio, che si apriva con un grande portone sulla strada, un magazzino senza finestra e la cucina; nel fondo del lotto c’era spesso un piccolo cortile con la latrina. I due piani superiori, accessibili tramite ripidissime scale, contenevano l’abitazione vera e propria.

 
Perugia medioevale. Affresco di Benedetto Bonfigli (1420-1496)

Queste case avevano solo poche e piccole finestre, una o due su ogni piano verso la strada e una o due verso il cortile, e questo per un semplice motivo: le finestre erano prive di vetri. Di solito venivano chiuse con teli oleati o pergamene, oppure solo con sportelli di legno. Vere e proprie finestre vetrate appariranno solo più tardi, a partire dal XIII secolo.

Le case erano costruite secondo la tradizione locale, quindi il loro aspetto esteriore variava da regione a regione. Oltralpe si costruiva preferibilmente con legno tanto che persino i primi castelli erano costruzioni lignee fortificate con palizzate. Nell’Europa occidentale e centrale, nelle regioni che avevano fatto parte dell’Impero Romano, si costruiva anche con pietre e mattoni, tecnica introdotta dai Romani, ma  solo gli edifici più importanti, come i castelli, le chiese e le case degli esattori delle imposte. Più diffusa era la costruzione del pian terreno in pietra o mattoni e quella dei piani superiori in legno.

Nei paesi mediterranei perdurava invece la tradizione di costruire le case con pietre e con mattoni e utilizzare il legno solo per la costruzione di solai, porte, balconi e finestre. La necessità di costruire le città verso l’alto si trasformò in una moda. L’aristocrazia costruiva le proprie dimore a forma di torre (torri gentilizie) nelle case fortificate (castrum cum turris), piccoli castelli. Costruire torri e case fortificate era una prerogativa della nobiltà e richiedeva l’autorizzazione dell’autorità superiore, ovvero del signore del feudo. L'altezza della torre esprimeva la potenza e la ricchezza della famiglia nobiliare, e quindi non mancavano le sfide a salire sempre più in l'alto, tanto che, talvolta, si metteva a rischio la statica degli edifici con prevedibili e conseguenti crolli.

Fu questo uno dei motivi che, a partire dalla fine del XII secolo, portarono alla cosiddetta "scapitozzatura", cioè alla demolizione dei piani più alti delle torri. Con la crescente riconquista del potere da parte dei Comuni, questi fecero sentire la loro potenza vietando ai cittadini privati di costruire torri che superassero in altezza la torre del palazzo comunale.

Palazzo medioevale con torri (disegno ideale)
(Fonte: Wood-Brown, J. The Builders of Florence, London 1907, p. 81.)


Nei secoli successivi, le scomode e buie torri furono gradualmente abbandonate in favore di più confortevoli palazzi, o inglobate in questi nuovi edifici. Poche di quelle torri medioevali si sono conservate fino ai nostri giorni. Un esempio classico è la cittadina di San Gimignano in Toscana, dove un gran numero di torri non ha subito alcuna scapitozzatura e, sebbene ridotte per numero rispetto alle più di settanta delle quali ci é pervenuta traccia certa, quattordici esemplari si ergono ancora oggi in tutta la loro altezza.

Le vie della città medioevali erano strette, solo quelle che attraversavano la città da porta a porta erano un po’ più larghe. Lungo queste vie principali e intorno alle piazze (mercato, piazza del duomo, ecc.) sorgevano le case della gente benestante e dell’aristocrazia. Queste case erano privilegiate perché potevano ricevere più luce e più sole. Solo nel rinascimento però comparvero i grandi e luminosi palazzi della nobiltà e della ricca borghesia dotati di molte finestre che davano sulla strada.

Molti considerano ancora oggi il Medioevo un’epoca buia, ma questa è un idea sbagliata.  Quel periodo storico ha invece da dimostrare molti successi e progressi che vanno dalla filosofia, dall’arte fino alla tecnologia. Tra le invenzioni medioevali si possono annoverare l’orologio meccanico, gli occhiali, la carta, la stampa, ma anche la polvere da sparo e l’artiglieria. Anche il migliore sfruttamento dell’energia dell’acqua e del vento è una grande scoperta del Medioevo. Il moto dell’acqua dei fiumi e dei ruscelli è usato per far funzionare mulini, segherie, cartiere e altri laboratori artigianali. La prima menzione di mulini a vento in Europa risale al 1222

Clima freddo - Le case dei Vichinghi


Per trovare degli esempi di architettura climatica in paesi freddi, non bisogna andare molto lontano: nell’Europa settentrionale ce ne sono a sufficienza. Una palese caratteristica dell’architettura tradizionale di questi paesi è l’ampio utilizzo di legname. Ma questo fatto è soprattutto dovuto alla ricchezza di foreste e di boschi di quella regione. Il legno era ed è ancora un materiale da costruzione a buon mercato, molto adatto al clima, facilmente lavorabile e, utilizzato secondo le regole dell’arte, persino durevole.

Nell’Europa settentrionale bisogna proteggersi in primo luogo dal vento e il freddo intenso. In autunno e in inverno non si può contare sul sole come si fa nei paesi mediterranei. L’impermeabilità al vento e un buon isolamento termico delle case sono più importanti della caccia all’ultimo raggio di sole. Sotto questo aspetto il legno è un materiale edile ideale perché possiede discreti pregi termoisolanti.

In passato, la gente del nord si proteggeva dal vento costruendo case basse con grandi tetti che, coperti da uno spesso strato di paglia, canna o giunco, si protendevano quasi fino al suolo. In luoghi particolarmente ventosi, le case erano persino semi-interrate o circondate da terrapieni paravento, mentre i tetti erano coperti con zolle erbose.

Ancora oggi si può osservare che nei paesi dell’Europa settentrionale, la gente è più attenta all’isolamento termico di quanto avviene nei paesi mediterranei. Non è che gli abitanti dell’Europa centrale e settentrionale siano più sensibili nei riguardi all’uso di energia, si tratta bensì di una lunga tradizione basata sull’esperienza: un buon isolamento termico ha più valore del sole che, nella stagione invernale, splende in cielo molto raramente.

In regioni in cui prevalgono le foreste di conifere si è sviluppato il cosiddetto “blockbau”, cioè il modo di costruire le pareti delle case con l’utilizzo di tronchi d’albero sovrapposti orizzontalmente. L'aggancio è ottenuto agli angoli, dove vengono ricavate delle connessioni che permettono l'incasso e, allo stesso tempo, conferiscono rigidità alla struttura. Su queste pareti si posa il tetto, anch’esso formato da tronchi d’albero e coperto da paglia o canna. Questo sistema costruttivo era già conosciuto in epoca preistorica. La dimensione delle case è data dalla lunghezza dei tronchi disponibili e non superava i 25 metri quadrati (5x5 metri). Queste piccole case potevano essere interamente o parzialmente interrate (le cosiddette case a fossa) o costruite al livello del suolo.  All’interno avevano un focolare e nei frontoni delle aperture per farne uscire il fumo.

Un casa slava parzialmente interrata del VI.- VII. secolo
referto archeologico  e ricostruzione
 

Nelle zone in cui prevalgono i boschi di latifoglia si è sviluppata invece la costruzione di strutture lignee a telaio (ted. Fachwerkbau). Il tetto di questi fabbricati è sorretto da pilastri. La stabilità della costruzione è ottenuta da elementi diagonali e tiranti che legano le travi delle falde del tetto. Le pareti sono puri elementi di tamponamento e possono essere formate da intrecci di rami o stuoie coperti di argilla, zolle, doghe di legno messi orizzontalmente o verticalmente, pietra o mattoni. Anche questa tecnica si sviluppò già in epoca preistorica.  Originariamente, i pilastri erano direttamente piantati nel terreno con il risultato di farli marcire molto presto, pertanto, allo scopo di proteggerli dall’umidità della terra, essi venivano posati su traversine di legno, su grandi pietre o su muretti, l’importante, in ogni caso, era tenere l’umidità lontana dagli elementi lignei.

 
Telaio di una casa lunga con abitazione e stalla.
Costruzione lignea a telaio con pilastri centrali (VII./VIII secolo)

 
La dimensione delle strutture costruite a telaio non dipende così tanto dalla lunghezza dei tronchi d’albero e delle travi come nel caso del blockbau. Le case possono perciò essere anche più lunghe. Su una pianta rettangolare si sviluppa il tipo della “casa lunga” (ted. langhaus) in cui abitazione, magazzini e stalle sono riuniti sotto un unico tetto. La casa lunga precede in pratica la tipica casa contadina germanica del medioevo.

Esempi della tradizionale architettura climatica in regioni fredde possono essere le case lunghe che i vichinghi costruirono in Danimarca, Norvegia e Islanda, come le conosciamo dagli scavi archeologici. Sulla base di queste conoscenze, nei parchi archeologici sono state ricostruite alcune di queste case allo scopo di meglio illustrarle ai visitatori. 

Le dimensioni delle case dei Vichinghi variano in base allo stato economico e sociale dei loro costruttori. La casa più grande scoperta in Norvegia misurava 9 x 83 metri, mentre le case contadine più semplici erano larghe tra i 4 e i 5 metri e lunghe tra i 10 e i 12 metri.

A Fyrkat, un castello rotondo dei Vichinghi situato nella penisola di Jutland settentrionale, le case avevano una lunghezza di 28,5 metri e una larghezza di 8,5 metri. Nella costruzione di ciascuna di queste case sono state impiegate 66 travi di quercia messe in verticale; altre travi inclinate dovevano probabilmente assumere una parte del peso del tetto. Le case avevano porte d’ingresso sia sui lati corti sia sul quelli lunghi, ma erano del tutto prive di finestre, mentre i tetti erano coperti con scandole di quercia. La dimensione dei fabbricati e la distribuzione dei focolari indicano che non tutte le case erano abitate, ma servivano da magazzino e da laboratori.

 
Casa vichinga ricostruita a Fyrkat, Jutland, Danimarca

In certi casi, davanti alle pareti di legno delle case, venivano eretti, come ulteriore protezione dal vento, dei muri di pietra, come per esempio nel caso delle case contadine di  Bukkøy, Karmøy, in Norvegia. Una soluzione alternativa erano muri  costruite con zolle erbose accatastate come nel caso della casa vichinga ricostruita a Borg, sulle isole di Lofoten, davanti alla costa norvegese.

 
Case contadine vichinghe a Bukkøy, Karmøy, Norvegia

Alla stessa latitudine della Norvegia, si trova l’Islanda, scoperta, secondo i racconti medioevali  nel 870, dal vichingo svedese Gardar Svavarsson che vi restò per un inverno intero. Ma gli archeologi hanno trovato resti di insediamenti vichinghi ancora più antichi. Sull’Isola di Vestmannaeyjar, sono state ritrovate le fondamenta di una tipica casa lunga norvegese risalente al VII. secolo.

 
 
 
Eiríksstadir, Ricostruzione di una casa lunga (skáli) del X. secolo,
Haukadalur, Island occidentale,  (Foto: Guðmundur Ingólfsson)

Il clima di Islanda è determinato dalla Corrente del Golfo ed è pertanto meno rigido rispetto ad altri paesi della stessa latitudine. Gli inverni solo relativamente miti, ma le estati piuttosto fresche. Le temperature diurne variano tra 0 e 3°C in inverno e tra 12 e 15°C in estate.

Islanda è conosciuta per le sue case tradizionali che sembrano essere coperte quasi interamente da terra e zolle erbose. Solo la parte al riparo del vento, il frontone con la porta d’ingesso, resta scoperta. Queste case sono costruite con pietre, torba, e zolle erbose perché in Islanda il legno scarseggia, per questa ragione, in passato, veniva impiegato il legno recuperato da vecchie navi, o quello importato dalla Norvegia.

 
Interno della casa lunga ricostruita a Eiríksstadir, Haukadalur, Island
 
A Haukadalur, nel nordovest dell’isola, si trovava, verso l’anno 1000, la casa di Erik il Rosso, lo scopritore della Groenlandia, esiliato dalla Norvegia perché accusato di aver commesso diversi omicidi. A partire dagli anni 50 del secolo scorso, in questo luogo furono eseguiti degli scavi archeologici che misero in luce le fondamenta di una “casa lunga” del X. secolo. Presso di questa ne fu ricostruita un’altra dello stesso tipo e che oggi fa parte del parco archeologico creato in questo sito.

Finestre vetrate - La luce passa, ma non il vento


Una particolare menzione la meritano le finestre. Le case degli antichi Greci e Romani non avevano finestre (fenestrae) così come le conosciamo oggi, ovvero finestre vetrate. Queste finestre erano aperture che servivano in primo luogo alla ventilazione, ma non all’illuminazione. Esse avevano sportelli di legno che si potevano chiudere e, una volta chiusi, le stanze restavano buie.

Le finestre si potevano però chiudere anche con materiali translucidi, come, tende oleate e fogli di pergamena, ma questi materiali non erano molto resistenti quando il vento tirava forte e la pioggia arrivava lateralmente. In Egitto erano in uso anche tende di papiro, un materiale che andava ben in quel paese dove le piogge sono scarse, ma non in Italia. 

In alcuni casi le aperture venivano chiuse anche con sottilissime lastre di alabastro o di marmo che facevano penetrare un po’ di luce diffusa, ma non erano apribili e quindi non potevano servire alla ventilazione degli ambienti. In alcune chiese paleocristiane si può ancora vedere questo tipo di finestra. 

Nelle case romane, le stanze che si affacciavano verso l’atrium e verso il peristilio prendevano luce solo attraverso la porta, normalmente chiusa solo con una tenda.  Soltanto i grandi palazzi di città, senza cortile e giardino, avevano delle finestre verso la strada; quelle dei piani superiori avevano degli sportelli (foriculae, valvae) di legno, mentre quelle al piano terra erano solitamente chiuse solo da inferriate, e altre con una rete allo scopo di impedire l’intrusione di topi e di altri piccoli animali.

Le cose cambiarono nel I secolo della nostra era, quando i romani inventarono il vetro piano, la produzione di lastre di vetro.  Questa invenzione segnò un grande progresso nell’edilizia perché consentiva la costruzione di finestre che escludevano il vento senza togliere la luce.

Le prime lastre di vetro per finestre erano di piccole dimensioni (raramente superavano i 20 x 30 cm) e, inoltre, erano molto costose. Questi vetri non erano così trasparenti come quelli odierni, erano piuttosto “translucidi”, ma rispetto alle chiusure utilizzate fino a quel momento erano una rivoluzione.

Le finestre con vetri rendevano possibile lo sfruttamento della luce del giorno: il vetro faceva passare la luce, ma non il vento e così il calore che si formava negli ambienti illuminati non si disperdeva più così rapidamente. Questa è la ragione per la quale l’invenzione del vetro piano è da considerarsi una pietra miliare nello sfruttamento passivo dell’energia solare.

Per motivo dell’alto prezzo dei vetri piani, le finestre vetrate si trovarono all’inizio  solo negli edifici pubblici e nelle case dei ricchi. In una lettera all’amico Lucilio Lucio Anneo Seneca (ca. 4 a.C. - 65 d.C.) menziona (1) le finestre vetrate usate nella costruzione dei bagni. Egli vedeva nel crescente uso di queste finestre un segno dell’imminente declino dell’Impero.

Nelle case private le finestre vetrate furono usate solo per quelle parti dell’edificio che si affacciavano sul peristilio o su cortile, ma non sul lato verso strada, dove esisteva sempre il pericolo che qualche ragazzaccio potesse rompere i vetri pagati profumatamente. Quando il vetro era troppo costoso, si utilizzava come chiusura anche la mica.

Senza il vetro piano non sarebbe stato possibile costruire le grandi terme imperiali con le loro enormi sale rese luminose da ampie vetrate. Le terme delle epoche precedenti erano buie. Avevano solo piccole aperture di ventilazione, per mantenere il calore all’interno della massiccia muratura. Per quanto riguarda le terme, l’invenzione del vetro piano era davvero un’occasione felice: finalmente si potevano illuminare i bagni con la luce del giorno e sfruttare il sole anche per il riscaldamento. Il denaro speso per le vetrate lo si ricuperava con il risparmio di combustibile utilizzato per riscaldare l’acqua e gli ambienti.

Non si conoscono con certezza i metodi applicati dai romani per produrre il vetro piano; sono discussi ancora due metodi di produzione: la soffiatura e la colatura. Il primo metodo consiste nella soffiatura di sfere di vetro, la loro apertura mediante un taglio a caldo e la stesura del cilindro su un tavolo piano. L’altro metodo possibile è la colatura della calda massa vitrea direttamente su un supporto piano con successiva spianatura con rullo.

Dalle lastre di vetro colorato si ottenevano, inoltre, le minuscole tesserae usate nei mosaici che decoravano le pareti e le volte degli edifici pubblici, i pavimenti e le fontane. Diversi frammenti di vetri piani d’epoca romana sono stati rinvenuti negli scavi delle grandi terme di Roma, Ercolano e Aix-en Provence.

Molte vetrerie furono aperte nel II secolo d.C. anche nelle province, in Gallia e a Colonia sul Reno. La produzione di vetro piano rimase tuttavia molto limitata fino alla fine dell’Impero Romano. Ovviamente, dopo cinquecento anni dalla sua invenzione, era pur sempre troppo caro attrezzare tutti gli edifici con finestre vetrate. Uno sviluppo decisamente maggiore interessò invece la produzione artigianale di boccali, bicchieri, piatti e molti altri oggetti decorativi per i quali esisteva una grande richiesta.

Alla fine dell’Impero Romano, la produzione di vetro piano declinò, ma non sparì del tutto. Piccoli vetri piani, spesso colorati, furono principalmente usati per le finestre delle chiese e delle cattedrali. Lo scrittore ecclesiastico Celio Firmiano Lattanzio (ca. 250–327) menziona delle finestre vetrate verso il 320 d.C.(2)  e anche i padri della chiesa cattolica Sant’Agostino (354-430) e San Gerolamo (347-420) parlano di finestre vetrate nelle chiese (3). Per l’anno 405 sono documentate finestre vetrate per la basilica di S. Paolo fuori le mura a Roma e, per l’anno 450, anche per l’Hagia Sophia di Costantinopoli (4).

Fino al XIV secolo, le finestre vetrate rimasero rare e altrettanto costose come nel I secolo d.C. Dopo le invasioni barbariche, le finestre dotate di vetri si trovavano solo negli edifici monasteriali ed ecclesiastici più ricchi. Nel 585, il monastero di San Gallo fu dotato di finestre vetrate e, nel 674, anche la chiesa di S. Pietro di Durnham in Inghilterra ordinava vetri da una vetreria della Gallia. Alcuni monasteri impiantarono vetrerie proprie, come, per esempio, quello di San Gallo, verso il 850 (5).

Tipica finestra medioevale con sportelli di legno. Solo la parte alta possiede una vetrata a piombo. (Fonte: Völkers, Otto: Wohnraum und Hausrat, Bamberg 1949)
Fino al medioevo, le finestre delle abitazioni erano aperture che servivano principalmente alla ventilazione e potevano essere chiuse, nel migliore dei casi, con sportelli di legno, con teli, con pergamena o con pelli per evitare che vi penetrasse la pioggia, il vento e le mosche. A questa funzione principale fanno ancora riferimento le voci inglesi e spagnole per finestra: l’inglese “window” ha il significato di “occhio del vento” lo spagnolo “ventana” non ha bisogno di una spiegazione.

Verso l’inizio del XII secolo, il monaco benedettino Teofilo Presbiter (pseudonimo di Rogerus von Helmarshausen) descrisse nella sua opera “De diversis artibus“ la produzione del vetro, la soffiatura del vetro piano, quella dei vasi e la tecnologia delle fornaci. Secondo Teofilo, che probabilmente è stato anche a Costantinopoli, bisognava mischiare cenere di legna di faggio e sabbia di fiume setacciata in rapporto di 2:1, essiccare la miscela al fuoco per un giorno e una notte, mescolando continuamente la massa in modo che questa non potesse fondersi o appiccicarsi. Dopo di che bisognava immettere la massa in un crogiolo e fonderla ad alta temperatura per una notte intera. Il vetro piano lo si otteneva per soffiatura: le sfere di vetro, ancora calde, venivano stirate, tagliate ed appiattite in fogli.

 
Soffiatura di vetro (da un codice medioevale; fonte: Wikipedia)

Il testo di Teofilo, scritto forse a Colonia, dove fin dall’epoca romana esisteva una tradizione vetraria, ha dato probabilmente l’impulso decisivo alla ripresa di una più ampia produzione di vetro nel XII secolo. La tecnica descritta da Teofilo fu perfezionata nel XIII secolo a Venezia, dove, nel Duecento, esistevano già corporazioni di mastri "fiolari", ossia fabbricanti di bottiglie, mentre i vetrai di Altare, un piccolo centro ligure, lavoravano già all'estero. Fu nel 1291, che le fornaci dei vetrai veneziani, per evitare il pericolo di incendi, furono trasferite sull'isola di Murano.

Nella poesia del XIII secolo si parla frequentemente delle finestre vetrate nei castelli. Alla fine del XIII secolo, in Germania e in Inghilterra, le case più ricche delle città e anche alcune case in campagna, possedevano finestre con vetri. Dopo il 1300, il prezzo del vetro piano per finestre calò e, verso la fine del 1400, i vetrai tedeschi si organizzarono in corporazioni.

Con la crescita del benessere economico, nei secoli XIII e XIV aumenta la produzione di vetro piano che, proprio per questo motivo, diventa meno caro. Tutti gli edifici più importanti e anche molte case della borghesia possono ora dotarsi di finestre vetrate. La maggiore disponibilità di vetro piano consente di dotare i palazzi con finestre più grandi, e, più tardi, anche la costruzione di serre (limonaie e orangerie) in cui vengono coltivate le piante delicate provenienti da oltremare.

Per il 1330 è documentata la produzione di vetro Crown a Rouen in Francia. Questa produzione consiste nel prelievo di una goccia di pasta vitrea e di trasformarla per soffiatura in una sfera. La sfera va tolta dalla pipa, fissata, dalla parte opposta, con una goccia di pasta di vetro a una barra metallica e nuovamente riscaldata in un forno di ricottura. Alla temperatura di 1000°C, il vetro è abbastanza plasmabile. Il soffiatore fa roteare la sfera che si apre sul lato dove era la pipa e si trasforma in un disco. Con questa tecnica è possibile ottenere dischi di un diametro che va da 120 a 150 centimetri che, poi, saranno tagliati in lastre rettangolari. La tecnologia del vetro Crown venne usata fino al XIX secolo.

Produzione di vetro Crown in una vetreria tedesca (Weibersbrunn ) del XVIII secolo. L’immagine proviene dalla famosa Encyclopédie francese. L’operaio a sinistra porta legna per l’alimentare la fornace. Al centro viene prelevato una goccia di vetro (o riscaldato la sfera in un forno di ricottura). A destra , in primo piano, una goccia di vetro viene preparato per essere poi centrifugata come si vede al fondo.

Nel 1448 la maggior parte degli edifici di Vienna possiede finestre vetrate. Nel Seicento, la produzione manifatturiera di vetro piano aumenta, il vetro diventa più trasparente e meno caro. Ora anche le finestre delle case dei semplici mortali possono essere dotate con finestre vetrate. Così penetrava luce anche quando le finestre erano chiuse. I tempi in cui si doveva scegliere tra sole e vento erano così passate. Il filosofo e statista inglese Francesco Bacone (1561-1626) critica l’immenso impiego di vetro che si fa in Inghilterra, dicendo che non si sa più come difendersi dal sole.

 
Produzione di vetro per finestre nel Settecento in Inghilterra

Al XV secolo risale anche la prima produzione di vetro trasparente e incolore in Europa, il cosiddetto “cristallo” di Venezia (Murano).  Nel 1688, a Saint-Gobain, in Francia, si cominciò a produrre il primo vetro piano con il metodo della cilindratura. Il vetro fuso veniva colato e steso su un tavolo quindi cilindrato. Il nuovo metodo consentiva di conferire alla massa vetrosa uno spessore uniforme e inoltre di produrre vetri di dimensioni maggiori (40” x 60”). Il vetro ottenuto con questo procedimento, il cosiddetto “lattimo”, era bianco opaco, ma la produzione di vetri per specchi richiedeva una onerosa levigatura e lisciatura a freddo.

 
Produzione di vetro per finestre nel Settecento in Inghilterra

Il vetro piano a prezzi convenienti consentiva ora anche la costruzione di serre in cui le delicate piante da oltre mare potevano svernare. Queste serre, in inverno bisognava riscaldare con delle stufe, ma il sole dava un discreto contributo al riscaldamento.

Una vera e propria l’industrializzazione della produzione industriale di vetro ebbe inizio nel XIX secolo. Nel 1919 la produzione di lastre fece un ulteriore passo in avanti: due cilindri rotanti trasformano ora la massa vetrosa calda in un nastro, il quale viene poi tagliato in lastre e raffreddato. Con questa tecnica si possono ottenere lastre di una dimensione di 3 x 6 metri. Oggi, l’industria vetraria produce una vastissima gamma di vetri speciali per ogni tipo di applicazione. Oggi è ormai diventato normale l’uso di vetri termoisolanti composti da due o tre lastre che hanno moltiplicato le prestazioni termiche delle finestre e quindi aumentato sensibilmente lo sfruttamento passivo dell’energia solare da parte degli edifici. Rispetto ad una lastra di vetro semplice, questi vetri fanno entrare un po’ meno luce – lo 0,6 invece dello 0,9 percento – ma trasmettono solo un quinto del calore all’esterno.

Un insolito giudizio sull’uso di finestre vetrate è stato espresso dallo storico della tecnologia Lewis Mumford. Nel suo libro “The City in History” (New York 1961) (6) egli considera l’avvento delle finestre vetrate, nella quale ognuno di noi vedrebbe un indiscutibile progresso nel campo edilizio, negativo per l’igiene e svantaggioso per la salute, perché il vetro non fa passare i raggi ultravioletti che uccidono i batteri, mentre le antiche finestre, che al posto del vetro avevano teli oleati e sportelli di legno, facevano penetrare la luce del sole senza filtrarla e perciò sarebbero state più igieniche. L’autore statunitense ha ovviamente dimenticato che il vetro filtra solo una parte della radiazione ultravioletta, quella con una lunghezza d’onda minore di 315 nanometri. La radiazione con una lunghezza d’onda tra 380 e 315 nanometri passa del tutto indisturbata. Bisogna inoltre considerare che, ogni giorno, le finestre venivano aperte qualche ora per il necessario ricambio d’aria nelle stanze e quindi, nelle belle giornate, nelle case, poteva penetrare a sufficienza la luce naturale non filtrata.

Una curiosità: The window tax

Nel 1696, il re William III introdusse in Inghilterra una tassa sulle finestre, la cosiddetta window tax, pensata come una tassa sul patrimonio, ossia sulla ricchezza dei cittadini, perché una tassa sui redditi fu veemente contestata perché considerata un’inaccettabile intrusione del governo negli affari privati (7).

Quando la tassa venne introdotta, essa consisteva in due parti: una tassa fissa di due scellini per ogni casa e una tassa variabile secondo il numero di finestre per le case con più di dieci finestre. Le proprietà con un numero di finestre tra dieci e venti pagavano un totale di quattro scellini e quelle con un numero maggiore otto scellini (8). Il numero di finestre cambiò a sette nel 1766 e a otto nel 1825. Nel 1778, la tassa fissa venne trasformata in una tassa variabile secondo il valore della proprietà. La gente povera era esente di questa tassa (9).

La window tax era poco intrusiva e facilmente da stabilire. Le case più grandi hanno normalmente anche più finestre e i proprietari dovevano pagare una tassa maggiore. Ciò nonostante, la tassa fu poco popolare perché considerata una tassa “sulla luce e sull’aria” (10).

Nei secoli XVII e XVIII, la window tax è stata una tassa sul vetro di notevole rilevanza sociale, culturale e per l’architettura in Inghilterra, in Scozia e poi nella Gran Bretagna. In alcune case di questo periodo si possono ancora oggi vedere le murature con le quali furono chiuse alcune finestre.

 Una tassa simile esisteva anche in Francia dal 1798 fino al 1926.

Le famiglie più ricche del regno britannico usavano la tasse per distinguersi da quelle meno ricche. Loro si facevano costruire in campagna delle ville signorili con il massimo possibile numero di finestre. In casi estremi si facevano persino inserire finestre anche nei muri di sostegno.  E’ stato una vera gara di ostentazione scatenata dalla window tax.

La tassa fu abolita nel 1851 e sostituita da una tassa immobiliare (11).

Note

(1) Seneca, Ad Lucilium de providentia
(2) Feldhaus, F.M.,  Die Technik, Wiesbaden 1914
(3) Völkers, Otto, Glas und Fenster, Berlino 1939
(4) Feldhaus, F.M.,  Die Technik, Wiesbaden 1914
(5) Völkers, Otto. Glas und Fenster, Berlin 1939
(6) Mumford, Lewis: Die Stadt. Geschichte und Ausblick, Teufen (AR) 1961, p. 329
(7) Herber, Mark D.: Ancestral Trails: The complete guide to British genealogy and family history. Sutton Publishing Ltd.1997, p.416
(8) Wolverhampton Archives
(9) Herber, op. cit., p. 16
(10) Richiesta di esenzione del 1776. Il termine daylight robbery (sottrazione di luce) è però di data molto più recente. Stando all’Oxford English Dictionary, esso appare solo nel 1916 nello spettacolo “Hobson’s Choise” di Harold Brighouse
(11) Wolverhampton Archives