lunedì 30 settembre 2013

Clima mediterraneo - Due tipologie tradizionali


Ancora oggi esistono in Italia due tipologie architettoniche tradizionali che possono essere considerate “climatiche”: il dammuso della Pantelleria e il trullo di Alberobello.

Il dammuso

Il dammuso è un’abitazione tradizionale tipica della Pantelleria, isola situata a metà strada tra la Sicilia e la costa tunisina. Il clima dell'isola è caratterizzato da temperature estive piuttosto elevate, con medie mensili che variano tra i 24°C (agosto) e i 10°C (gennaio). La piovosità è molto scarsa in estate, mentre i venti sono molto forti e frequenti.  Il dammuso tiene conto di queste peculiarità dell’isola ed inoltre beneficia della ricchezza di materiale lavico come materiale da costruzione.

Dammusu è una parola che in lingua siciliana vuol dire tetto e fa riferimento a un fabbricato rurale molto semplice, alsardune”, un ambiente di campagna, costruito, in genere, con le pietre ottenute dalla bonifica del terreno, a ridosso dei muretti di terrazzamenti o al centro della proprietà. Esso serviva al contadino per conservarvi gli attrezzi e per ripararsi dal sole o in caso di pioggia, ma, oggi, quando si parla di dammuso si pensa in primo luogo alla casa tradizionale dell'isola di Pantelleria.

 
Dammusi sull'isola della Pantelleria

I dammusi-abitazioni sono costruiti con pietre laviche locali tenute insieme a secco. Il tetto ha la forma di una bassa cupola per poter meglio raccogliere l’acqua piovana la quale, poi, viene immagazzinata in una cisterna interrata in prossimità del dammuso stesso. A questo scopo, i bordi del tetto sono più rialzati rispetto alla base della cupola per far confluire più facilmente l'acqua nelle apposite “canallate”. Avere una riserva d'acqua è molto importante poiché l’estate pantesca è lunga e secca. Il tetto è imbiancato con calce non solo per impermeabilizzarlo, ma anche per meglio riflettere della luce del sole, così, l’interno, rimane un po’ più fresco.  Gli spessi muri del dammuso proteggono dal caldo estivo e dal vento e dal freddo invernali. Le finestre e le porte hanno dimensioni ridotte e non permettono di far entrare molta luce.

L’abitazione è solitamente composta da tre ambienti: la sala, il “cammarino” e l’arkova (alcova) chiusa da una tenda. In aggiunta ci possono però anche essere una piccola cameretta da letto per bambini, un ripostiglio o dispensa. Adiacente al dammuso c’erano anche costruzioni adibite a cucina, deposito, stalla o cantina. Il tetto a cupola era spesso utilizzato come spazio per l’essicazione di alcuni prodotti agricoli.


Il dammuso, usato come abitazione, aveva sempre la facciata principale intonacata, mentre i muri degli altri lati erano lasciati grezzi a pietra viva, i pavimenti erano realizzati in terra battuta o, nelle case dei più abbienti, rivestiti con mattonelle decorate.

Accanto a un dammuso si trova spessa una costruzione circolare, anch’essa in pietra lavica, dentro la quale si coltivano alberi da frutto, prevalentemente agrumi quali limoni, cedri e aranci, protetti così dall'incessante vento che batte l'isola.

Oggi, quasi tutti questi fabbricati agricoli sono stati trasformati in alloggi turistici.

Il trullo

Il trullo è una tipica abitazione tradizionale dell’altopiano della Murgia, una regione della Puglia centro-meridionale. Il clima della Puglia è tipicamente mediterraneo: estati calde e inverni miti. Tuttavia, nell’Alta Murgia, le estati sono fresche e durante l’inverno le precipitazioni nevose e le nebbie notturne non sono rare. Le temperature medie invernali restano però sopra lo zero, mentre le massime di luglio variano tra i 24°C e i 30°C.

Pianta e sezione di un trullo

Il nome trullo deriva dal tardo greco τρούλος, cupola. Infatti, la forma che determina l’aspetto esterno di un trullo è la pseudo-cupola al suo interno, una cupola costruita a secco con pietre posate in filari circolari. Più si sale in alto, più questi filari diventano più stretti e formano una costruzione conica. L’origine del trullo dovrebbe essere una capanna preistorica, ma i trulli oggi esistenti non sono molto antichi, perché i proprietari, in caso di dissesti, preferivano abbatterli e quindi ricostruirli ex novo. I trulli più antichi di cui si sono conservate tracce risalgono al XVI secolo. I trulli più famosi sono quelli di Alberobello, che oggi fanno parte del Patrimonio mondiale dell'umanità dell’Unesco.

Cupole di trulli: si intravede sulla destra parte della scaletta ricavata nel paramento esterno per consentire l'accesso alla sommità al fine di facilitare le operazioni di manutenzione

L’involucro edilizio del trullo ha uno spessore assai elevato, questo offre il vantaggio di mantenere un clima interno relativamente equilibrato. Le pietre del muro e del tetto, grazie alla loro elevata inerzia termica, mantengono a lungo il calore assunto durante il giorno sotto l’azione del sole e lo rilasciano all’interno durante la notte. Come in uno scantinato, la temperatura interna rimane relativamente costante per quasi tutto l’anno, così dentro si percepisce un gradevole fresco in estate e caldo in inverno. Solo nella seconda metà del mese di agosto si avverte più caldo all’interno che all’esterno.

Oltre alla porta d’ingresso, c’è solo, nella parte alta della cupola, una piccola apertura con un finestrino che serve per la ventilazione e, al contempo, dà un po’ di luce all’interno. 

Clima mediterraneo - Roma antica - Porticati



Un elemento di grande utilità dell’urbanistica mediterranea, e non solo di quella antica, è il porticato. Sotto un portico ci si può riparare quando piove e quando il sole batte troppo forte. Un porticato forma una tettoia protettiva sopra gli ingressi, le finestre al piano terra degli edifici e sopra le decorazioni della parete del muro. Similmente alle città elleniche, a Roma si costruirono una serie di portici già nel 194 e nel 179 a.C. (1).

 
Porticato moderno a Torino (Foto: Uwe Wienke)

In molte città romane di cui conosciamo la pianta della città antica esistevano dei porticati. Ad Augusta Raurica gli isolati erano circondati da porticati, ossia da marciapiedi coperti. Tutto indica che in questa città il regolamento urbanistico obbligava i proprietari dei lotti a costruire a proprie spese questi porticati davanti le loro case ed a badare alla loro manutenzione.

Vitruvio (2) consiglia di costruire porticati in prossimità dei teatri affinché i cittadini possano passeggiarvi e gli spettatori possano ripararvisi in caso di improvvisi acquazzoni: Egli scrive:

“Dietro la scena si dovranno costruire i portici, in modo qualora piogge improvvise interrompessero lo spettacolo, il pubblico all’esterno del teatro avrà dove ripararsi e gli apparati coreografici avranno uno spazio più largo per l’allestimento”.

Questo consiglio è spesso stato seguito. A Roma, direttamente accanto al teatro di Marcello, sorge il Portico d’Ottavia e, dietro il teatro di Pompeo, il Portico Pompeiano.

Questi portici avrebbero dovuto servire anche alla ricreazione e al tempo libero della cittadinanza. A questo proposito Vitruvio scrive:

Gli spazi centrali tra i portici, a cielo aperto, si dovranno abbellire con la vegetazione così che le passeggiate all’aperto siano molto salutari ……  Se è evidente dunque che nei luoghi aperti l’aria succhia via dai corpi gli umori più nocivi, come la nebbia dalla terra, non penso che si possa dubitare del fatto che nelle città debbano esserci spazi aperti sotto il cielo, grandissimi e molto accoglienti dove passeggiare.

Presumibilmente, per rendere accettabili questi portici ai parsimoniosi amministratori comunali, Vitruvio attribuisce a questi portici anche una funzione più utilitaristica dicendo:

Inoltre in questo genere di edifici, per tradizione vengono sistemati i magazzini di cui la città ha bisogno nei momenti di necessità. Durante gli assedi infatti, gli altri approvvigionamenti sono tutti più facili di quello del legname. Così, i passeggi all’aperto offrono due grandi vantaggi: uno è la salute in tempo di pace e l’altro la sicurezza in tempo di guerra. E’ per questo che la realizzazione dei passeggi, non solo dietro alla scena del teatro, ma anche dietro a tutti i templi degli dei, è di grande utilità per i cittadini.

 
Porticati della grande palestra di Pompei
(Foto: Wikipedia/Sören Bleikertz)

Ad Augusta Raurica, di fronte al teatro, era situato il cosiddetto tempio “su Schönbühl”, che era circondato da un porticato, come anche , il foro secondario che si trova direttamente a sud. Ad Augusta Bagiennorum si poteva raggiungere rapidamente dal teatro la basilica e i portici del foro. A Brescia il teatro era situato accanto al campidoglio, dove era possibile ripararsi dalle intemperie.

A Leptis Magna, dietro il proscenio, si trova un portico così come descritto da Vitruvio, cioè un giardino circondato da portici, un peristilio ad uso pubblico. Non lontano dal teatro c’era anche il mercato, anch’esso circondato da portici. Ad Ostia si trovava, immediatamente dietro il proscenio, il foro delle corporazioni e, inoltre, anche la via principale, che passava davanti al teatro, aveva marciapiedi porticati.  A Pompei si trovava, non lontano dal teatro, il cosiddetto “Foro triangolare”, un foro secondario con un portico, sul quale sboccavano gli ingressi del teatro. Il teatro di Salona era situato presso il foro e un tempio, così, anche in questo caso, si era creato un riparo e un luogo in cui passeggiare in attesa di andare a teatro o di fare una visita al tempio. Una situazione simile la si ritrova anche a Timgad.

Note

(1) Castagnoli, F., Topografia e Urbanistica di Roma, Bologna 1969, p.21
(2) Vitruv, de arch. V 9, 1

Clima mediterraneo - Roma antica – I teatri


Abbiamo voluto includere nella nostra trattazione dell’architettura climatica anche i teatri greci e romani perché si presuppone che la progettazione di questi edifici doveva necessariamente tenere conto del clima e del sole e, se non altro in particolare riferimento al possibile abbagliamento degli spettatori e al possibile surriscaldamento della cavea, dove gli spettatori stavano seduti e fermi per molte ore.

Il teatro greco trae origine dalle festività celebrate in onore di Dionisio, testimoniate almeno dal 534 a.C. Come opera architettonica è composta da tre principali elementi: il theatron, ovvero lo spazio destinato agli spettatori,  lo skené, la scena o sfondo scenico (inizialmente di legno) e l’orchestra, lo spazio per gli attori e il coro.  Il teatro di Dionisio di Atene divenne il prototipo del teatro greco in tutte le colonie greche del Mediterraneo. Nelle città greche, il teatro non serviva solo alle rappresentazioni in occasione di festività religiose, ma anche come auditorio in cui si tenevano adunanze e discussioni politiche.

 
Teatro di Dionisos ad Atene
(Foto: Wikipedia, BishkekRocks)

Non si sa con certezza quando iniziarono ad essere organizzati i primi spettacoli teatrali a Roma, di sicuro si sa che rappresentazioni di opere teatrali greche furono organizzate almeno a partire dal 240 a.C. in poi. Una propria tradizione teatrale romana (Plauto, Terenzio) ebbe inizio alla fine del III secolo a.C. Il primo teatro di Roma (theatrum et proscenium ad Apollinis) di cui si ha notizia, interamente costruito in legno, fu edificato da M. Emilio Lepido nell’anno 179 a.C. Per il 174 a.C. è testimoniata la costruzione di un teatro da parte degli edili Fulvio Flacco e Q. Postumio Albino. Nell’anno 154 a.C., i censori M. Valerio Messalla e C. Crasso Longino avevano dato avvio alla costruzione di un teatro che però venne poi demolito per ordine di P. Scipio Nasica, il quale temeva che le rappresentazioni avrebbero potuto compromettere la moralità dei romani; un verdetto del senato ne proibiva di fatto la frequentazione.

Roma ebbe il suo primo teatro costruito interamente in pietra solo più tardi, voluto da Pompeo nel 55 a.C. Seguì poi, nel 13 a.C., il teatro di Balbo. Nell’anno 11 a.C. fu aperto il teatro Marcello, la cui costruzione era già stata iniziata da Cesare. Dall’epoca di Augusto e di Tiberio in poi, anche nelle altre città romane i teatri diventarono corredo sempre più comune.

 
Roma, Teatro di Marcello (Foto: wikipedia)

All’epoca di Vitruvio, i teatri erano già molto diffusi nelle città romane, e questa è anche la ragione per la quale egli ne spiega estesamente la loro progettazione e costruzione (1). Secondo Vitruvio, anche un teatro doveva sorgere in un sito salubre e al riparo dai venti molesti. Egli scrive (2) al riguardo:

"Costruito il foro, bisogna scegliere il sito del teatro per le rappresentazioni dei giochi nelle feste in onore degli dei immortali e questo deve essere il più salubre possibile, come ho già scritto nel primo libro a proposito della salubrità dei siti in cui fondare le città. Durante i giochi, gli spettatori, stando seduti con mogli e figli, si divertono e, a causa della immobilità del corpo, espongono le vene nelle quali penetrano i venti, che, se provengono dalle regioni paludose o da altre regioni malsane, infondono nei corpi spiriti nocivi. Se però il sito del teatro sarà scelto con più cura, questi danni saranno evitati. Bisognerà cercare dunque un sito non esposto a mezzogiorno".

Stando dunque a Vitruvio (3), ciò che occorre per l’edificazione di un teatro non è solo un sito salubre, ma anche il suo giusto orientamento:

“Infatti, quando il sole riempirà la cavea, l’aria racchiusa dalla curvatura, non avendo la possibilità di circolare, rigirandosi su se stessa, si riscalda e, infuocata, brucia, cuoce e diminuisce gli umori nei corpi. Per questo sono da evitare con grande cura le esposizioni malsane e bisogna invece scegliere quelle salubri”.

L’architettura

Mentre i teatri greci erano stati costruiti su pendii rocciosi nei quali si scavavano le gradinate destinate agli spettatori, i teatri romani furono normalmente costruiti su un’area piana, per il semplice motivo che già l’ubicazione delle città era in pianura. Si trattava di enormi edifici, talvolta liberi su tutti i lati, talvolta integrati in complessi edilizi più grandi, che esigevano una particolare integrazione del tessuto urbano e una particolare modulazione architettonica delle facciate. L’architettura delle facciate faceva capo a quella dei portici e in singoli piani formavano, verso l’esterno, portici a semicerchio, salvo l’integrazione dell’edificio in complessi più ampi.  Nella maggior parte dei casi, i teatri sono però edifici liberi su tutti i lati. Per quanto riguarda la loro effettiva ubicazione nelle città romane, questi si possono trovare nel centro, alla periferia in prossimità delle mura o anche fuori di questa.

Nel teatro romano, la facciata della scena (frons scenae) è una costruzione di alcuni piani decorativi che diventano proscenio. Si comincia, inoltre ad utilizzare macchinario teatrale (deus ex macchina) e quindi fa la sua comparsa anche il sipario che, durante la rappresentazione si abbassa per scomparire in un apposito incasso.

Lo spazio per gli spettatori, la cavea, consisteva in gradinate a semicerchio poggiate su archi e volte in muratura e sulla scena con loggiati laterali. Gli spettatori accedevano ai lori posti attraverso corridoi (praecinctiones) e scale. La cavea era suddivisa in singole sezioni, i cosiddetti cunei. Le gradinate più in alto erano spesso coperte da un porticato. In estate, quando faceva molto caldo, sopra gli spettatori si potevano tendere dei teloni (velarium) ombreggianti di derivazione navale.

L’orientamento

Si potrebbe immaginare un orientamento della cavea dei teatri atto ad impedire che degli spettatori guardino, per tutto il tempo della rappresentazione, a volte di durata molto lunga, contro il sole restandone abbagliati. In questo contesto, si pensa che il migliore orientamento della cavea sia quindi quello volto a nord.

Un esame dei vari teatri costruiti in Italia e nelle province dell’Impero, dimostra però che non esisteva una vera e propria preferenza verso un determinato orientamento (vedi tabella), infatti, sono riscontrabili esposizioni della cavea in tutte le direzioni. Sembra che in Italia esista una leggerissima predominanza per l'orientamento verso SO (Teatro di Marcello a Roma, Alba Fucens, Verona) e NO (Ostia, Aosta, Trieste), ma vi sono anche altri teatri con orientamenti verso NE (Torino, Luna), E (Teatro di Pompeo a Roma, Firenze), SE (Pompei), N (Lucca) e S (Brescia, Ferentum). In Nordafrica prevale l'orientamento della cavea verso N ( i due teatri di Gerasa e di Sabratha) e verso NE (Cuicul, Leptis Magna), del resto, in questa regione, troviamo anche altri svariati orientamenti: O (Timgad), SO (Cartagine), S (Dougga), E (Sufetula). In Gallia incontriamo orientamenti verso O (Arles, Augusta Raurica) e NO (Aventicum)

Un orientamento della cavea verso nord lo si ritrova effettivamente nei teatri di Lucca e di Sabratha, ma i teatri di Dougga e di Brescia sono volti chiaramente a Sud. I teatri di Aosta, Aventicum ed Ostia sono orientati verso nordovest, mentre i teatri di Augusta Bagiennorum, Salona e Verona guardano a sudovest.

Non sembra dunque che i criteri riportati da Vitruvio siano stati così decisivi per la progettazione dei teatri. I teatri greci rivelano che per gli architetti erano più importanti ben altri aspetti, per esempio l'esistenza di pareti rocciose da cui scavare la cavea (ne sono esempi il teatro di Dionisio e l'odeon di Erode Attico ad Atene). In questo modo si poteva sfruttare l'andamento del terreno e usare una parte del materiale cavato per la costruzione delle strutture murate. Questa soluzione era la più economica.

Nelle città di pianura, invece, dove l'intero teatro si doveva costruirlo in muratura, c'era più libertà per l'orientamento, ma neanche in questi casi è riconoscibile una netta preferenza per un preciso orientamento. Si deve però considerare anche il fatto che la cavea di molti teatri poteva essere ombreggiata da grandi teli e quindi le preoccupazioni di Vitruvio trovano solo in parte giustificazione.

Si nota quindi che l’orientamento dei teatri non era tanto determinato dall’esposizione quanto dalla situazione topografica e urbanistica. Nel caso di presenza di pendii o scoscendimenti, si utilizzava di questo fatto per la costruzione della cavea, in assenza di questi e all’interno della città si doveva tenere conto dell’area disponibile e degli elementi urbanistici e architettonici preesistenti. Solo su aree piane e laddove non c’erano strutture ostacolanti, si poteva orientare i teatri in rapporto al sole.

In alcuni casi si nota pero un orientamento della cavea verso punti di interesse artistico o naturalistici, per ottenere quelli che oggi chiameremmo “effetti speciali”.

La “porta regia”, l’apertura centrale del proscenio, è stata spesso utilizzata per offrire agli spettatori una veduta particolare su un monumento architettonico o una bellezza paesaggistica. I teatri sono stati orientati spesso proprio con questo criterio, ossia per offrire alla vista degli spettatori uno sfondo naturale, o artistico di particolare rilievo. Una veduta su un tempio la si può godere dai teatri di Ostia e di Augusta Raurica e, presumibilmente, anche da quello di Aventicum. Una particolare veduta la offre il teatro di Dougga (Tunisia). Lo spettatore guarda, attraverso la “porta regia” su una snella costruzione, alta 21 metri, di un bellissimo mausoleo libico-punico, situata un po’ più in basso rispetto al teatro, risalente al III-II secolo a.C. Sul fondo, dietro al monumento, la vista si perde poi nell’ampia e verde vallata dell’Oued Kralled.

 
Teatro di Dougga (Tunisia) 
(Foto: Uwe Wienke)

Mentre il teatro di Dougga si appoggia a una collina e dal teatro si guarda verso la pianura, il teatro romano di Gubbio si trova nella valle del torrente Saonda e gli spettatori guardano verso catena di montagne a nordest della città. Nella visuale dell’asse centrale del teatro si trova il profondo taglio della gola di Camignano, attraverso la quale passa la strada per Urbino. Il panorama invita proprio a puntare lo sguardo attraverso la profonda gola verde.

Un caso a parte è invece il teatro di Pompei che costituisce, congiuntamente all’Odeon, a due templi, a una palestra, alla scuola dei gladiatori e al foro triangolare, un vero e proprio centro culturale confinante con la via principale, la Via Stabiana. La costruzione del teatro di Pompei risale all’epoca ellenistica ed era stato scavato su un pendio roccioso. In epoca romana, venne ampliato fino a ospitare 5.000 spettatori. La scuola dei gladiatori, dietro il proscenio, fu impiantata solo relativamente tardi, al tempo di Nerone, in un giardino porticato fino ad allora frequentato dagli spettatori del teatro, prima e dopo le rappresentazioni.  L‘Odeon, un piccolo teatro con una capienza di 1.500 spettatori, riservato soprattutto a rappresentazioni musicali e pantomimiche, è degli anni 80-75 a.C. e fu costruito da C. Quinctio Valgo e M. Porzio, quando la città divenne colonia romana. La palestra risale ancora all’epoca sannita e assomiglia molto a quelle greche. Il tempio adiacente, dedicato ad Iside, è uno dei meglio conservati della città, esso fu infatti ricostruito solo pochi anni prima dell’eruzione del Vesuvio nel 62 d.C. Presso questo tempio c’è anche quello dedicato a Zeus Meilichios. Questo centro culturale è uno dei più interessanti complessi urbanistici del suo genere d’epoca romana in cui si respira per intero l’influenza della cultura ellenistica (4).

Più prosaica invece  la combinazione di teatro e centro commerciale che si trova ad Ostia, dove il teatro venne costruito probabilmente sotto Augusto e ampliato da Settimio Severo e Caracalla. Al suo interno trovavano posto 2.700 spettatori. L’ingresso principale era sulla via principale (decumano massimo) della città ed era circondato da portici e negozi. Al centro della piazza, su un alto podio, si trovava un tempio consacrato a Cerere la cui facciata principale formava un tipo di quinta del teatro (5) stesso.

Note

(1) Vitruvio. de arch.. V, III, 1-2
(2) Vitruv, de arch, V 3, 1
(3) Vitruv, de arch. V 3, 2
(4) Maiuri, A.: Pompeji, 9. Ed., Rom (1963), S. 26-29
(5) Calza, G. & G. Becatti: Ostia, 5. Ed., Rom (1971)

Clima mediterraneo - Roma antica - Heliocaminus


Gli odierni fautori dell’architettura solare fanno spesso riferimento al cosiddetto heliocaminus. Purtroppo non si sa di preciso che cosa sia.

Heliocaminus è una parola rara negli antichi testi latini. Infatti essa appare solo due volte: una volta nelle Epistole di Plinio il Giovane e un’altra nei Digesti, una compilazione di frammenti di opere di giuristi romani realizzata su incarico dell'imperatore Giustiniano I.. La parola di solito viene interpretato come “stanza esposta al sole” (1), o “stanza che serviva a raccogliere la maggiore quantità possibile di sole”, qualcosa cioè simile a un solarium, oppure un appartamento esposto al sole usato come dimora invernale (2)

La voce non compare negli scritti di Vitruvio che, essendo architetto, avrebbe dovuto conoscerla.

Le terme con heliocaminus di Tivoli

Nella villa Adriana di Tivoli, presso Roma, a ridosso dell'area occupata dalla residenza repubblicana e unito ad essa con un corridoio, esistono i resti di un edificio che viene chiamato “heliocaminus” e che faceva parte di un piccolo edificio termale. Il locale è una sala rotonda coperta da una cupola a scrigno con occhio centrale – il "lumen" chiuso da un clipeo bronzeo che, azionato da catene, consentiva di regolare la quantità di calore e di vapore acqueo. La sala era fornita di una grande vasca circolare e, sul lato sud-occidentale, aveva cinque grandi finestre con vetrate di modesta dimensione fissate tra di loro con colate di piombo all'intelaiatura di ferro o di bronzo della grande apertura.

Le “Terme con heliocaminus” prendono nome da questo edificio che viene chiamato heliocaminus.   L’ambiente fu riscaldato però non solo dal sole, ma aveva anche un impianto di riscaldamento a pavimento  (ad ipocausto). (Foto: Stefan Ramseier)

L’ambiente era riscaldato non solo dal sole, che vi penetrava attraverso le cinque finestre, ma anche dal pavimento rialzato su suspensurae sotto il quale circolava dell'aria calda. Gli archeologi pensano che questo locale sia stato un solarium o un sudatium, un tipo di sauna, perché sotto il pavimento si trovava anche un impianto per la produzione d’acqua calda e di vapore (testudines) (3).

 
Sezione dell’ambiente detto “heliocaminus” nella Villa Adriana di Tivoli  
(Fonte: habitat.aq.upm.es/boletin/n9/famvaz/i3amvaz.html)

La sala è stata denominata heliocaminus in riferimento a una voce che appare nella lettera di Plinio il Giovane all’amico Gallo (Plinius epist. 17. lib. 2, 20) in cui descrive minuziosamente la villa che possedeva a Laurentum, nei pressi di Ostia. In questa descrizione egli accenna anche a un heliocaminus dicendo: “in hac heliocaminus quidem, alia xystum, alia mare, utraque solem, etc., parla cioè di un bagno solare che guarda da un lato verso una terrazza (xystum) e dall’altro verso il mare, in modo da ricevere sole da ambedue i lati.

Nella sua lettera, Plinio il Giovane descrive varie stanze e sale esposte al sole, ma solo per uno di questi ambienti usa la parola heliocaminus. Questo induce a pensare che l’ambiente in questione doveva avere una qualche particolarità che le altre stanze orientate verso il sole non avevano. Credo che l’espressione scelta da Plinio faccia riferimento alla forma architettonica dell’ambiente. In latino un caminus è una fornace, detta in latino fornax. E una fornace è una costruzione in muratura destinata alla cottura di laterizio e terrecotte. Le vecchie fornaci, qualche esemplare è ancora in uso presso alcuni artigiani, erano a pianta circolare con una cupola in alto e una piccola apertura dalla quale fuoriuscivano i fumi. La fornace era riscaldata da sotto con un fuoco che veniva acceso in una camera di combustione collocata nel basso della costruzione (vedi figura). La forma era molto funzionale, distribuiva uniformemente il calore, lo manteneva più a lungo al suo interno e faceva risparmiare combustibile (legna o carbone di legna).

La parola heliocaminus bisognerebbe pertanto tradurla come “forno solare” ed è riferibile ad un ambiente particolarmente ben riscaldato, sia dal pavimento, da un ipocaustum, sia dal sole che penetrava da finestre vetrate esposte verso il quadrante sud. Non si tratta quindi di una stanza o di un appartamento esposto al sole e usato come dimora invernale. La funzione era piuttosto quella di un sudatium e di un solarium.

Sembra che questo tipo di ambiente fosse molto diffuso nelle ville di campagna (villae rusticae). Queste sorgevano laddove  vi era sufficiente spazio per costruire estesi complessi, allo scopo di  poter conferire ad ogni tipo di locale l’orientamento più adeguato.

La seconda fonte in cui appare la parola heliocaminus è il Digesto di Enea Domizio Ulpiano, uno degli ultimi grandi giuristi romani (ca. 200 d.C.) dell’epoca classica. Nato a Tiro, in Fenicia, verso il 170 e morto a Roma nel 228 d.C. apparteneva, insieme al suo collega Paolo, al concilium del prefetto pretorio Papiniano, assunse poi la posizione di quest’ultimo e, nel 228 d.C. venne assassinato da un gruppo di pretoriani in rivolta. La sua attività di scrittore fu molto fertile. Egli, infatti, compilò circa 280 libri. Estratti delle sue opere furono ampiamente impiegati nella redazione del Digesto di Giustiniano.

In questa collezione di leggi, l’heliocaminus è equiparato al solarium, a un ambiente in cui si prende il sole, oppure che è riscaldato dal sole, ma in ogni caso a un luogo in cui il sole è necessario.

Ulpiano dice (4): Si arborem ponat, ut lumini officiat, aeque dicendum erit contra impositam servitutem eum facere: nam et arbor efficit, quo minus caeli videri possit. Si tamen id quod ponitur lumen quidem nihil impediat, solem autem auferat, si quidem eo loci, quo gratum erat eum non esse, potest dici nihil contra servitutem facere: sin vero heliocamino vel solario, dicendum erit, quia umbram facit in loco, cui sol fuit necessarius, contra servitutem impositam fieri”.

Se qualcuno sostiene che un oggetto è disposto in modo tale da togliere il sole a un heliocaminus o ad un solarium, bisognerà accertare che questo oggetto ombreggi veramente un luogo che necessita di sole.

Il passo si riferisce chiaramente a una situazione urbana in cui è quasi inevitabile che un alto edificio metta in ombra parte degli edifici adiacenti. Ciò che la legge citata da Ulpiano garantisce è il diritto al sole di edifici che hanno bissogno di essere soleggiati, come, per esempio, i bagni pubblici e, in particolare le aule con i bagni caldi (calidarium e solarium) che, per riscaldarli hanno bisogno di un apporto da parte del sole. Sul lato Sud delle grandi terme di Roma erano pertanto disposte ampie aree destinate a giardini e a campi sportivi, proprio per tenere libera la facciata meridionale di questi grandi edifici da elementi ombreggianti. Il diritto al sole non era un diritto universale, così come oggi lo interpretano alcuni fautori dell’architettura solare (5), bensì una legge che riguardava in primo luogo gli edifici pubblici e non già gli edifici privati.

Note

(1) Online  Latein Wörterbuch (www.albertmartin.de): ein nach der Sonnenseite gelegenes Zimmer
(2) Charlton Lewis & Charles Short: A Latin Dictionary  (London: Oxford University Press, 1879) “an apartment exposed to the sun, used as a winter abode
(3) Manderscheid, Hubertus: Überlegungen zur Wasserarchitektur und ihrer Funktion in der Villa Adriana, p. 109-140, Römische Mitteilungen 107 (2000)
(4) Dig. 8, 2, 17 pr.
(5) Treberspurg, Martin, Neues Bauen mit der Sonne, p.47, Wien/New York (1994). Butti Ken & Perlin John, Golden Thread, p.27, Palo Alto (Ca.) USA (1980).

domenica 29 settembre 2013

Clima mediterraneo - Roma antica - I bagni pubblici


Bagni privati


In epoca greca e romana, fare un bagno sia in acqua fredda o calda e anche sudare come in una sauna, era di uso comune. Bagni esistevano già nelle case della Mesopotamia del III millennio a.C. e questa comodità si diffuse, nel corso dei secoli, attraverso Cipro e Creta fino in Grecia e in Italia. Nel sacro complesso di Olimpia in Grecia (IV secolo a.C.) c’era un bagno abbinato a una palestra (1).

Il bagno è stato importato nella cultura romana dal mondo greco. La parola latina balineum o balneum è la traduzione di balaneion, introdotta nel III secolo a.C. I primi bagni nelle case dei romani erano rari, semplici e bui; non avevano grandi finestre vetrate. In una lettera all’amico Lucilio, Seneca (ca. 4–65 d.C.) descrive il bagno nella villa rustica di Scipione con le seguenti parole (2):

“Ho visitato la modesta villa del grande Scipione (l’Africano), in cui si trova un bagno molto stretto e buio così come erano i bagni dei nostri antenati; solo perché ciò che era buio a loro sembrava di poterlo riscaldare …….. In quel bagno di Scipione si trovano nel muro delle piccolissime finestre, meglio chiamate feritoie, affinché queste fanno penetrare un po’ di luce senza diminuire la robustezza della muratura. Ora sono invece chiamate “tane di loschi parassiti” tutti i bagni che non sono dotati di grandi finestre che captano la piena luce del giorno, in cui non si viene abbronzati dal sole e da cui non c’è vista sul paesaggio o sul mare”…….

In epoca repubblicana, nelle case dei benestanti romani, era molto in voga il laconicum, una specie di sauna, un locale molto caldo, dove si poteva sudare a piacere, normalmente abbinato a un locale con una vasca d’acqua fredda (frigidarium). Nelle case, il bagno trovava normalmente posto in un luogo ben soleggiato e caldo, spesso accanto alla cucina (culina), dove veniva preparata l’acqua calda che serviva anche per altri usi domestici. Il fuoco lo si accendeva in una camera di combustione (praefurnium) situata sotto il laconicum, accessibile dalla cucina o dal cortile.

Con la crescente prosperità economica di Roma, anche le case dei benestanti potevano concedersi bagni più dispendiosi; si trattava solitamente di strutture complesse composte di uno spogliatoio (apoditerium) e tre vasche: una con acqua fredda (frigidarium), un’altra con acqua tiepida (tepidarium) e la terza con acqua calda (calidarium). Le ville più grandi e lussuose, come, per esempio, quella di Piazza Armerina, avevano abbinata ai bagni persino una palestra. Alcuni bagni erano finemente decorati con affreschi, come la casa con criptoportico a Pompei, il bagno della villa di Bosco Reale e quello della villa di Poppea a Oplontis (Torre Annunziata)

Tra i lussuosi bagni ritrovati nelle province dell’Impero Romano, sono degni di menzione quelli del palazzo del legato romano ad Aquincum (oggi Budapest) in Pannonia, e quelli del palazzo di Fishbourne vicino a Chester in Inghilterra.

Due bagni privati sono stati descritti dagli scrittori romani Marco Valerio Marziale (3) (ca. 40-102 d.C.) e Gaio Sollio Sidonio Apollinare (4) (seconda metà del V secolo).

Bagni pubblici
 
Gli impianti termici dei bagni erano molto complessi, pertanto, i bagni nelle case private erano piuttosto un’eccezione. Molto numerosi erano invece quelli pubblici. Nelle città romane, i bagni pubblici erano ritenuti indispensabili almeno sin dal I secolo a.C. Già nel 33 a.C. a Roma, sotto l’edilità di Agrippa, esistevano non meno di 170 terme utilizzabili gratuitamente da tutta la popolazione. I cataloghi regionari della città di Roma dell’epoca di Augusto (63 a.C.-14. d.C) enumerano ben 856 “balnea”(5). Questi bagni erano necessari considerata l’elevato numero degli abitanti della capitale e della strettezza e della sporcizia in cui essi vivevano.

E, stando a quanto afferma Plinio il Giovane (6), erano numerosi anche nelle piccole città di provincia. I primi bagni pubblici in Italia di cui abbiamo notizia sono sorti nelle città della Campania. A Capua, queste comodità esistevano già dalla fine del III secolo a.C. (7), a Teano, all’epoca dei Gracchi, c’erano bagni per uomini e per donne, e, a Pompei, anche le Terme Stabiane e quelle del foro risalgono all’epoca repubblicana (8).

 
Pompei – Terme Stabiane
 
 
In mancanza di vetri per finestre, i primi bagni pubblici erano ambienti piuttosto bui dotati di aperture di piccole dimensioni, piuttosto feritoie come dice Seneca, che servivano soprattutto alla regolazione della ventilazione, ma questi locali avevano muri molto spessi che mantenevano a lungo il calore. La situazione cambiò a seguito dell’invenzione del vetro piano nel I secolo a.C. che consentì la costruzione di ampie finestre e lo sfruttamento della luce solare.

Le terme più grandiose, più imponenti e più famose erano indubbiamente quelle di Roma costruite in età imperiale. Questi grandi complessi soddisfacevano non solo le esigenze termali con calidarium, tepidarium, frigidarium, natatio e apoditerium, ma comprendevano anche delle biblioteche e mostre d’arte; inoltre offrivano servizi di ogni genere: massaggio, sauna, fitness e cure di estetica.  Soprattutto erano grandi centri di svago e di divertimento, dove s’incontravano tutte le classi della popolazione.

Il prezzo d’ingresso era modesto, ma tutti i servizi extra si dovevano pagare a parte. La gente si recava nei bagni dopo mezzogiorno, ossia dopo il lavoro quotidiano (i romani non lavoravano otto ore al giorno come noi facciamo oggi). Tutto il complesso balneare, inclusi i suoi giardini, era racchiuso in un recinto rettangolare che assumeva  talvolta dimensioni gigantesche. L’area delle Terme di Diocleziano misurava 356 x 316 metri. L’odierna Piazza della Repubblica, in alto a Via Nazionale, era l’esedra dell’ampia area verde che circondava gli edifici di queste terme.

La prima delle grandi terme di Roma è stata quella di Agrippa, inaugurata nel 12 a.C., situata nel Campo Marzio e alimentata dall’Acqua Vergine. Seguivano poi le terme di Nerone (62 d.C.) sempre in Campo Marzio, di Tito sulle pendici dell’Esquilino, di Traiano sulle falde del monte Oppio (erette tra il 104 e il 109 d.C.), di Caracalla (costruite tra il 212 e il 217 d.C.), di Diocleziano (costruite tra il 298 e il 306 d.C) e di Costantino (intorno al 315 d.C.) sul colle del Quirinale.

 
Roma - Terme di Traiano

A Roma, gli spazi per gli immensi complessi delle terme con le loro ampie aree verdi dovevano essere ricavati da un tessuto urbanistico già edificato. Questo comportava l’acquisto e la demolizione di molti edifici residenziali. Già l’acquisto dei terreni necessari costava un patrimonio intero. Le Terme di Traiano situate sulle falde del Monte Oppio furono pagate con il bottino della guerra che sottomise i Daci.

 
Roma - Terme di Diocleziano


Ma perché a Roma si necessitava di tanti bagni pubblici così grandiosi? Bisogna immaginare che all’epoca di Traiano (53-117 d.C.), Roma aveva una popolazione stimata in oltre un milione di abitanti. Era la più grande città del mondo. Circa il 90 per cento della sua popolazione viveva in alloggi d’affitto concentrati in grandi caseggiati. Questi alloggi erano senza bagno e servizi igienici; le condizioni abitative erano misere e talvolta precarie. I bagni pubblici erano pertanto importantissimi per garantire alla popolazione della metropoli un minimo di igiene. Nelle grandi terme si aveva luce, si poteva respirare, fare il bagno, esercitare qualche sport, divertirsi e persino studiare.

 
Roma - Terme di Caracalla

I grandi complessi balneari erano però anche insaziabili divoratori d’acqua e di legna da ardere. Occorrevano immense quantità d’acqua calda, e questa era prodotta in grandi caldaie di bronzo, dette testudines, forse per la loro forma che ricordava una tartaruga. Vitruvio descrive un sistema a tre serbatoi: uno per l’acqua calda, uno per l’acqua tiepida e un terzo per quella fredda, tutte schierati in fila. L’acqua fredda si riversava nel serbatoio dell’acqua tiepida e questa in quello dell’acqua calda. Le caldaie erano collocate nel piano seminterrato dell’edificio e il fuoco bruciava in una camera di combustione, il cosiddetto praefurnium, accessibile dall’esterno. I fumi, dopo aver riscaldato le caldaie, passavano sotto il pavimento rialzato delle sale, entravano nelle canne fumarie (tuboli) inserite nella muratura delle pareti e fuoriuscivano poi da sopra il tetto. Disponendo i “tubuli” a breve distanza l’uno dall’altro, si otteneva un sistema di riscaldamento a parete. Questo sistema era detto ad hypocaustum o hypokausis, nome greco che significa, appunto, “riscaldato da sotto”.


Pavimento riscaldato da sotto
 

L'invenzione di questo sistema di riscaldamento è generalmente attribuita a Caio Sergio Orata (circa 80 a.C.), un commerciante della Campania che costruiva bagni ad ipocausto nelle grandi ville e impiegava le balneae pensilis nei suoi allevamenti di pesci e di ostriche. Gli studi archeologici più recenti hanno però potuto dimostrare che il sistema di riscaldamento a pavimento era già conosciuto da diverso tempo prima (Olympia (9), Gortys (10), Megara Hyblea (11)).

Il funzionamento del sistema richiedeva un tiraggio lento e continuo che dipendeva dalla formazione e dal dimensionamento delle singole parti, dalla qualità del materiale combustibile e dalla regolazione del flusso d'aria. Un fattore importante era una leggera inclinazione dei canali sotto il pavimento dalla camera di combustione verso le canne in cui i fumi salivano e uscivano sopra il tetto.

Per meglio sfruttare il calore prodotto nell’impianto di riscaldamento, i bagni caldi per le donne e quelli per gli uomini vennero concentrati nella medesima zona e allineati in modo tale che l’aria calda passasse direttamente sotto il pavimento di ambedue le strutture. Da Vitruvio leggiamo al riguardo (12):

“E inoltre si deve fare attenzione che i calidari per le donne e per gli uomini siano attigui e collocati nelle medesime zone. Poiché in tal modo si otterrà che nelle caldaie anche il calorifero sotterraneo sia comune all’uno e all’altro degli ambienti”.

Questo sistema di riscaldamento aveva un rendimento straordinario, spesso superiore al 90 per cento, ovvero maggiore di quello di molti impianti odierni. Esperimenti fatti con impianti ricostruiti hanno dimostrato che, nel caso di temperature al praefurnium di 400-600°C, quella dei fumi al fumaiolo era scesa a soli 40°C (13). Bisogna però considerare che non tutti gli ambienti delle terme erano riscaldati. Il riscaldamento era limitato ai calidari e ai tepidari.

Nonostante l’ingegnosità del sistema di riscaldamento, le terme consumavano enormi quantità di legna (i Romani non conoscevano ancora il carbone fossile). Nei forni la legna bruciava senza sosta, giorno dopo giorno, anno dopo anno - per secoli.

In considerazione dell’immenso consumo, risparmiare calore e acqua calda divenne dunque imperativo. Vitruvio allora consiglia lo sfruttamento passivo del calore del sole (14):

“Innanzi tutto, bisogna scegliere un sito che sia il più caldo possibile, non esposto né al settentrione né ad aquilone. I calidari e i tepidari debbono ricevere luce dall’occidente invernale e qualora la natura del luogo lo impedisse, dal mezzogiorno, poiché il tempo del bagno è soprattutto compreso fra mezzogiorno e il tramonto”.

 Le terme dovevano quindi sorgere in luoghi soleggiati ed essere orientate verso sud-ovest (occidente invernale) e, se questo non era possibile, verso sud. L’orientamento verso Sud-Ovest consigliato da Vitruvio si spiega facilmente con l’orario dell’apertura dei bagni. In epoca romana si frequentavano i bagni al primo pomeriggio, a partire da mezzogiorno. Orientando le grandi aule dei bagni caldi (calidari) e tiepidi (tepidari) verso Sud-Ovest, queste ricevevano Sole, proprio quando la gente cominciava ad affluire, cioè dopo mezzogiorno. Ed è proprio questo l’orientamento che troviamo in quasi tutte le grandi terme di Roma.

Il buon soleggiamento dei bagni caldi e tiepidi era garantito da ampi spazi verdi, giardini e campi sportivi, disposti davanti a queste grandi sale. Lo sfruttamento del sole era diventato possibile grazie all’invenzione del vetro piano nel I secolo a.C. Cosi le grandi aule delle terme potevano ricevere ampie finestre. Secondo la testimonianza di Seneca (ca. 1-65 d. C.), queste vetrate furono introdotte nella costruzione delle terme già alla sua epoca, ovvero nella metà del I secolo d.C.(15). Sono anche da menzionare le marcate strombature dei muri in corrispondenza delle finestre che facevano penetrare all’interno più luce e quindi anche più calore.

Il sole era quindi un’utilissima fonte ausiliare di calore che contribuiva a risparmiare legna. Il fabbisogno di combustibile era enorme e si pensa che vaste aree boschive nei dintorni delle città romane siano state rase al suolo, abbattendo ogni albero, per reperire la legna necessaria per il riscaldamento dei bagni. Sta di fatto che ci sono indizi chiari per ritenere che nella tarda antichità imperasse una grave penuria di legna da ardere, tanto è vero che,  a partire dal IV secolo d.C. si cominciò ad importare legna da ardere persino dall’Africa (16).

Le grandi terme avevano inoltre spessi muri costruiti in laterizio che mantenevano il calore all’interno, ma anche l’immensa produzione del necessario laterizio cotto richiedeva il consumo di enormi quantità di legna che, ovviamente, non poteva essere sostituta con l’energia solare. Solo l’utilizzo del laterizio cotto permetteva la costruzione di grandi edifici voltati quali erano le terme d’epoca imperiale. Con questo materiale si costruiva una muratura solida e resistente, il cosiddetto opus caementitium. Lo spazio tra due paramenti esterni costruiti in laterizio era riempito con una specie di calcestruzzo e, man mano che la muratura cresceva, si utilizzavano calcestruzzi sempre più leggeri riducendo così il peso. Questi muri possedevano anche eccellenti caratteristiche termiche; accumulavano il calore prodotto all’interno e lo conservavano per tempi prolungati.

Per stabilire in quale misura le regole di soleggiamento riportate da Vitruvio siano state rispettate, abbiamo esaminato, per tre diverse regioni climatiche, l'orientamento di alcune terme romane e l'esposizione del loro calidarium.

Di Roma conosciamo le planimetrie di tre grandi terme: le Terme di Diocleziano (iniziate nel 298 d.C. da Massimiano e ultimate nel 305-306), le Terme di Traiano e quelle di Caracalla (iniziate nel 206 d.C. da Septimio Severo e ultimate da Caracalla nel 216). In tutti e tre i casi, l'asse centrale del complesso è orientata secondo le regole vitruviane in direzione NE-SO e il calidarium si trova esposto a SO. Anche a Pompei il calidarium delle Terme del Foro e delle Terme centrali sono orientate verso SO. Nelle terme di Tito, di Nerone e in quelle di Costantino l'asse centrale è orientata in direzione N-S e il calidarium si trova sul lato Sud.

Salvo alcune eccezioni, la regola vitruviana è stata applicata anche in Nordafrica: Un orientamento NE-SO dell'asse centrale e l'esposizione del calidarium verso SO lo troviamo a Timgad (Grandi Terme a Sud), a Dougga (Terme centrali) e a Djemila (Grandi Terme)- Le Terme di Antonino a Cartagine sono invece orientate in asse NO-SE e il calidarium si trova sul lato NO (forse per poter orientare il frigidarium e la palestra verso il mare)- Un orientamento N-S dell'asse centrale e l'esposizione del calidarium verso S lo troviamo invece nelle Grandi Terme a Nord di Timgad e in quelle di Leptis Magna.

A Nord delle Alpi, le terme più grandi e più conosciute sono quelle di Treveri: le Terme di S. Barbara (costruite verso la metà del II sec. d.C.) e quelle imperiali (costruite alla fine del III sec. d. C.). L'asse centrale delle Terme di S. Barbara è orientata in direzione N-S e il calidarium si trova sul lato Sud del complesso. L'asse centrale delle Terme imperiali è invece orientata in direzione Est-Ovest e il calidarium è esposto verso Est. Questo orientamento viene spiegato con motivi urbanistici: le Terme segnano dignitosamente la fine della via centrale (decumanus maximus) della città che si estende lungo un'asse Ovest-Est.

Si può quindi affermare che le regole climatiche di Vitruvio sono state rispettate dagli architetti romani nella maggior parte dei casi. Questo fatto non sorprende più di tanto perché si trattava anche di una misura di risparmio energetico e quindi rivestiva una notevole importanza.

Note

(1) Mallwitz, A. Olympia und seine Bauten, Monaco di Baviera, 1972
(2) Seneca, Ad Lucilium de providentia
(3) Marziale, Epigrammi: VI, 42
(4) Apollinare, 43: 262-254
(5)
Castagnoli, F.: Topografia e urbanistica di Roma antica, Bologna 1969, p. 97

(6) Plinio, epist. 17, 26
(7) Beloch: Campanien, 2- Ed., S. 302
(8) Lehmann-Hartleben in: RE Bd. IIIA, S. 2066-67
(9) Mallwitz A., Olympia und seine Bauten, München 1972
(10) Ginouvès R., L'etablissement thermal de Gortys d'Arcadie, Paris 1959
(11) Vallet, Villard et Auberson: Experiénces coloniales en Occident et urbanisme grec: Le fouilles de Megara Hyblea; in: Annales de l’Ecole française 25, 4, (1970), p. 1102-1113 (avec plans)
(12) Vitruvio, de arch. V, X, 1
(13) Brödner, E.: op. cit., p. 156
(14) Vitruvio, de arch. V, X, 1 “Primum eligendus locus est quam calidissimus, id est aversus ab septentrione et aquilone. Ipsa autem caldaria tepidariaque lumen habeat ab occidente hiberno, si autem natura loci impedierit, utique a meridie, quod maxime tempus lavandi meridiano ad vesperum est constitutum”.
(15) Brödner, E.: op. cit., p. 137
(16) Cod. Theod. 13,5,10.