martedì 1 ottobre 2013

Finestre vetrate - La luce passa, ma non il vento


Una particolare menzione la meritano le finestre. Le case degli antichi Greci e Romani non avevano finestre (fenestrae) così come le conosciamo oggi, ovvero finestre vetrate. Queste finestre erano aperture che servivano in primo luogo alla ventilazione, ma non all’illuminazione. Esse avevano sportelli di legno che si potevano chiudere e, una volta chiusi, le stanze restavano buie.

Le finestre si potevano però chiudere anche con materiali translucidi, come, tende oleate e fogli di pergamena, ma questi materiali non erano molto resistenti quando il vento tirava forte e la pioggia arrivava lateralmente. In Egitto erano in uso anche tende di papiro, un materiale che andava ben in quel paese dove le piogge sono scarse, ma non in Italia. 

In alcuni casi le aperture venivano chiuse anche con sottilissime lastre di alabastro o di marmo che facevano penetrare un po’ di luce diffusa, ma non erano apribili e quindi non potevano servire alla ventilazione degli ambienti. In alcune chiese paleocristiane si può ancora vedere questo tipo di finestra. 

Nelle case romane, le stanze che si affacciavano verso l’atrium e verso il peristilio prendevano luce solo attraverso la porta, normalmente chiusa solo con una tenda.  Soltanto i grandi palazzi di città, senza cortile e giardino, avevano delle finestre verso la strada; quelle dei piani superiori avevano degli sportelli (foriculae, valvae) di legno, mentre quelle al piano terra erano solitamente chiuse solo da inferriate, e altre con una rete allo scopo di impedire l’intrusione di topi e di altri piccoli animali.

Le cose cambiarono nel I secolo della nostra era, quando i romani inventarono il vetro piano, la produzione di lastre di vetro.  Questa invenzione segnò un grande progresso nell’edilizia perché consentiva la costruzione di finestre che escludevano il vento senza togliere la luce.

Le prime lastre di vetro per finestre erano di piccole dimensioni (raramente superavano i 20 x 30 cm) e, inoltre, erano molto costose. Questi vetri non erano così trasparenti come quelli odierni, erano piuttosto “translucidi”, ma rispetto alle chiusure utilizzate fino a quel momento erano una rivoluzione.

Le finestre con vetri rendevano possibile lo sfruttamento della luce del giorno: il vetro faceva passare la luce, ma non il vento e così il calore che si formava negli ambienti illuminati non si disperdeva più così rapidamente. Questa è la ragione per la quale l’invenzione del vetro piano è da considerarsi una pietra miliare nello sfruttamento passivo dell’energia solare.

Per motivo dell’alto prezzo dei vetri piani, le finestre vetrate si trovarono all’inizio  solo negli edifici pubblici e nelle case dei ricchi. In una lettera all’amico Lucilio Lucio Anneo Seneca (ca. 4 a.C. - 65 d.C.) menziona (1) le finestre vetrate usate nella costruzione dei bagni. Egli vedeva nel crescente uso di queste finestre un segno dell’imminente declino dell’Impero.

Nelle case private le finestre vetrate furono usate solo per quelle parti dell’edificio che si affacciavano sul peristilio o su cortile, ma non sul lato verso strada, dove esisteva sempre il pericolo che qualche ragazzaccio potesse rompere i vetri pagati profumatamente. Quando il vetro era troppo costoso, si utilizzava come chiusura anche la mica.

Senza il vetro piano non sarebbe stato possibile costruire le grandi terme imperiali con le loro enormi sale rese luminose da ampie vetrate. Le terme delle epoche precedenti erano buie. Avevano solo piccole aperture di ventilazione, per mantenere il calore all’interno della massiccia muratura. Per quanto riguarda le terme, l’invenzione del vetro piano era davvero un’occasione felice: finalmente si potevano illuminare i bagni con la luce del giorno e sfruttare il sole anche per il riscaldamento. Il denaro speso per le vetrate lo si ricuperava con il risparmio di combustibile utilizzato per riscaldare l’acqua e gli ambienti.

Non si conoscono con certezza i metodi applicati dai romani per produrre il vetro piano; sono discussi ancora due metodi di produzione: la soffiatura e la colatura. Il primo metodo consiste nella soffiatura di sfere di vetro, la loro apertura mediante un taglio a caldo e la stesura del cilindro su un tavolo piano. L’altro metodo possibile è la colatura della calda massa vitrea direttamente su un supporto piano con successiva spianatura con rullo.

Dalle lastre di vetro colorato si ottenevano, inoltre, le minuscole tesserae usate nei mosaici che decoravano le pareti e le volte degli edifici pubblici, i pavimenti e le fontane. Diversi frammenti di vetri piani d’epoca romana sono stati rinvenuti negli scavi delle grandi terme di Roma, Ercolano e Aix-en Provence.

Molte vetrerie furono aperte nel II secolo d.C. anche nelle province, in Gallia e a Colonia sul Reno. La produzione di vetro piano rimase tuttavia molto limitata fino alla fine dell’Impero Romano. Ovviamente, dopo cinquecento anni dalla sua invenzione, era pur sempre troppo caro attrezzare tutti gli edifici con finestre vetrate. Uno sviluppo decisamente maggiore interessò invece la produzione artigianale di boccali, bicchieri, piatti e molti altri oggetti decorativi per i quali esisteva una grande richiesta.

Alla fine dell’Impero Romano, la produzione di vetro piano declinò, ma non sparì del tutto. Piccoli vetri piani, spesso colorati, furono principalmente usati per le finestre delle chiese e delle cattedrali. Lo scrittore ecclesiastico Celio Firmiano Lattanzio (ca. 250–327) menziona delle finestre vetrate verso il 320 d.C.(2)  e anche i padri della chiesa cattolica Sant’Agostino (354-430) e San Gerolamo (347-420) parlano di finestre vetrate nelle chiese (3). Per l’anno 405 sono documentate finestre vetrate per la basilica di S. Paolo fuori le mura a Roma e, per l’anno 450, anche per l’Hagia Sophia di Costantinopoli (4).

Fino al XIV secolo, le finestre vetrate rimasero rare e altrettanto costose come nel I secolo d.C. Dopo le invasioni barbariche, le finestre dotate di vetri si trovavano solo negli edifici monasteriali ed ecclesiastici più ricchi. Nel 585, il monastero di San Gallo fu dotato di finestre vetrate e, nel 674, anche la chiesa di S. Pietro di Durnham in Inghilterra ordinava vetri da una vetreria della Gallia. Alcuni monasteri impiantarono vetrerie proprie, come, per esempio, quello di San Gallo, verso il 850 (5).

Tipica finestra medioevale con sportelli di legno. Solo la parte alta possiede una vetrata a piombo. (Fonte: Völkers, Otto: Wohnraum und Hausrat, Bamberg 1949)
Fino al medioevo, le finestre delle abitazioni erano aperture che servivano principalmente alla ventilazione e potevano essere chiuse, nel migliore dei casi, con sportelli di legno, con teli, con pergamena o con pelli per evitare che vi penetrasse la pioggia, il vento e le mosche. A questa funzione principale fanno ancora riferimento le voci inglesi e spagnole per finestra: l’inglese “window” ha il significato di “occhio del vento” lo spagnolo “ventana” non ha bisogno di una spiegazione.

Verso l’inizio del XII secolo, il monaco benedettino Teofilo Presbiter (pseudonimo di Rogerus von Helmarshausen) descrisse nella sua opera “De diversis artibus“ la produzione del vetro, la soffiatura del vetro piano, quella dei vasi e la tecnologia delle fornaci. Secondo Teofilo, che probabilmente è stato anche a Costantinopoli, bisognava mischiare cenere di legna di faggio e sabbia di fiume setacciata in rapporto di 2:1, essiccare la miscela al fuoco per un giorno e una notte, mescolando continuamente la massa in modo che questa non potesse fondersi o appiccicarsi. Dopo di che bisognava immettere la massa in un crogiolo e fonderla ad alta temperatura per una notte intera. Il vetro piano lo si otteneva per soffiatura: le sfere di vetro, ancora calde, venivano stirate, tagliate ed appiattite in fogli.

 
Soffiatura di vetro (da un codice medioevale; fonte: Wikipedia)

Il testo di Teofilo, scritto forse a Colonia, dove fin dall’epoca romana esisteva una tradizione vetraria, ha dato probabilmente l’impulso decisivo alla ripresa di una più ampia produzione di vetro nel XII secolo. La tecnica descritta da Teofilo fu perfezionata nel XIII secolo a Venezia, dove, nel Duecento, esistevano già corporazioni di mastri "fiolari", ossia fabbricanti di bottiglie, mentre i vetrai di Altare, un piccolo centro ligure, lavoravano già all'estero. Fu nel 1291, che le fornaci dei vetrai veneziani, per evitare il pericolo di incendi, furono trasferite sull'isola di Murano.

Nella poesia del XIII secolo si parla frequentemente delle finestre vetrate nei castelli. Alla fine del XIII secolo, in Germania e in Inghilterra, le case più ricche delle città e anche alcune case in campagna, possedevano finestre con vetri. Dopo il 1300, il prezzo del vetro piano per finestre calò e, verso la fine del 1400, i vetrai tedeschi si organizzarono in corporazioni.

Con la crescita del benessere economico, nei secoli XIII e XIV aumenta la produzione di vetro piano che, proprio per questo motivo, diventa meno caro. Tutti gli edifici più importanti e anche molte case della borghesia possono ora dotarsi di finestre vetrate. La maggiore disponibilità di vetro piano consente di dotare i palazzi con finestre più grandi, e, più tardi, anche la costruzione di serre (limonaie e orangerie) in cui vengono coltivate le piante delicate provenienti da oltremare.

Per il 1330 è documentata la produzione di vetro Crown a Rouen in Francia. Questa produzione consiste nel prelievo di una goccia di pasta vitrea e di trasformarla per soffiatura in una sfera. La sfera va tolta dalla pipa, fissata, dalla parte opposta, con una goccia di pasta di vetro a una barra metallica e nuovamente riscaldata in un forno di ricottura. Alla temperatura di 1000°C, il vetro è abbastanza plasmabile. Il soffiatore fa roteare la sfera che si apre sul lato dove era la pipa e si trasforma in un disco. Con questa tecnica è possibile ottenere dischi di un diametro che va da 120 a 150 centimetri che, poi, saranno tagliati in lastre rettangolari. La tecnologia del vetro Crown venne usata fino al XIX secolo.

Produzione di vetro Crown in una vetreria tedesca (Weibersbrunn ) del XVIII secolo. L’immagine proviene dalla famosa Encyclopédie francese. L’operaio a sinistra porta legna per l’alimentare la fornace. Al centro viene prelevato una goccia di vetro (o riscaldato la sfera in un forno di ricottura). A destra , in primo piano, una goccia di vetro viene preparato per essere poi centrifugata come si vede al fondo.

Nel 1448 la maggior parte degli edifici di Vienna possiede finestre vetrate. Nel Seicento, la produzione manifatturiera di vetro piano aumenta, il vetro diventa più trasparente e meno caro. Ora anche le finestre delle case dei semplici mortali possono essere dotate con finestre vetrate. Così penetrava luce anche quando le finestre erano chiuse. I tempi in cui si doveva scegliere tra sole e vento erano così passate. Il filosofo e statista inglese Francesco Bacone (1561-1626) critica l’immenso impiego di vetro che si fa in Inghilterra, dicendo che non si sa più come difendersi dal sole.

 
Produzione di vetro per finestre nel Settecento in Inghilterra

Al XV secolo risale anche la prima produzione di vetro trasparente e incolore in Europa, il cosiddetto “cristallo” di Venezia (Murano).  Nel 1688, a Saint-Gobain, in Francia, si cominciò a produrre il primo vetro piano con il metodo della cilindratura. Il vetro fuso veniva colato e steso su un tavolo quindi cilindrato. Il nuovo metodo consentiva di conferire alla massa vetrosa uno spessore uniforme e inoltre di produrre vetri di dimensioni maggiori (40” x 60”). Il vetro ottenuto con questo procedimento, il cosiddetto “lattimo”, era bianco opaco, ma la produzione di vetri per specchi richiedeva una onerosa levigatura e lisciatura a freddo.

 
Produzione di vetro per finestre nel Settecento in Inghilterra

Il vetro piano a prezzi convenienti consentiva ora anche la costruzione di serre in cui le delicate piante da oltre mare potevano svernare. Queste serre, in inverno bisognava riscaldare con delle stufe, ma il sole dava un discreto contributo al riscaldamento.

Una vera e propria l’industrializzazione della produzione industriale di vetro ebbe inizio nel XIX secolo. Nel 1919 la produzione di lastre fece un ulteriore passo in avanti: due cilindri rotanti trasformano ora la massa vetrosa calda in un nastro, il quale viene poi tagliato in lastre e raffreddato. Con questa tecnica si possono ottenere lastre di una dimensione di 3 x 6 metri. Oggi, l’industria vetraria produce una vastissima gamma di vetri speciali per ogni tipo di applicazione. Oggi è ormai diventato normale l’uso di vetri termoisolanti composti da due o tre lastre che hanno moltiplicato le prestazioni termiche delle finestre e quindi aumentato sensibilmente lo sfruttamento passivo dell’energia solare da parte degli edifici. Rispetto ad una lastra di vetro semplice, questi vetri fanno entrare un po’ meno luce – lo 0,6 invece dello 0,9 percento – ma trasmettono solo un quinto del calore all’esterno.

Un insolito giudizio sull’uso di finestre vetrate è stato espresso dallo storico della tecnologia Lewis Mumford. Nel suo libro “The City in History” (New York 1961) (6) egli considera l’avvento delle finestre vetrate, nella quale ognuno di noi vedrebbe un indiscutibile progresso nel campo edilizio, negativo per l’igiene e svantaggioso per la salute, perché il vetro non fa passare i raggi ultravioletti che uccidono i batteri, mentre le antiche finestre, che al posto del vetro avevano teli oleati e sportelli di legno, facevano penetrare la luce del sole senza filtrarla e perciò sarebbero state più igieniche. L’autore statunitense ha ovviamente dimenticato che il vetro filtra solo una parte della radiazione ultravioletta, quella con una lunghezza d’onda minore di 315 nanometri. La radiazione con una lunghezza d’onda tra 380 e 315 nanometri passa del tutto indisturbata. Bisogna inoltre considerare che, ogni giorno, le finestre venivano aperte qualche ora per il necessario ricambio d’aria nelle stanze e quindi, nelle belle giornate, nelle case, poteva penetrare a sufficienza la luce naturale non filtrata.

Una curiosità: The window tax

Nel 1696, il re William III introdusse in Inghilterra una tassa sulle finestre, la cosiddetta window tax, pensata come una tassa sul patrimonio, ossia sulla ricchezza dei cittadini, perché una tassa sui redditi fu veemente contestata perché considerata un’inaccettabile intrusione del governo negli affari privati (7).

Quando la tassa venne introdotta, essa consisteva in due parti: una tassa fissa di due scellini per ogni casa e una tassa variabile secondo il numero di finestre per le case con più di dieci finestre. Le proprietà con un numero di finestre tra dieci e venti pagavano un totale di quattro scellini e quelle con un numero maggiore otto scellini (8). Il numero di finestre cambiò a sette nel 1766 e a otto nel 1825. Nel 1778, la tassa fissa venne trasformata in una tassa variabile secondo il valore della proprietà. La gente povera era esente di questa tassa (9).

La window tax era poco intrusiva e facilmente da stabilire. Le case più grandi hanno normalmente anche più finestre e i proprietari dovevano pagare una tassa maggiore. Ciò nonostante, la tassa fu poco popolare perché considerata una tassa “sulla luce e sull’aria” (10).

Nei secoli XVII e XVIII, la window tax è stata una tassa sul vetro di notevole rilevanza sociale, culturale e per l’architettura in Inghilterra, in Scozia e poi nella Gran Bretagna. In alcune case di questo periodo si possono ancora oggi vedere le murature con le quali furono chiuse alcune finestre.

 Una tassa simile esisteva anche in Francia dal 1798 fino al 1926.

Le famiglie più ricche del regno britannico usavano la tasse per distinguersi da quelle meno ricche. Loro si facevano costruire in campagna delle ville signorili con il massimo possibile numero di finestre. In casi estremi si facevano persino inserire finestre anche nei muri di sostegno.  E’ stato una vera gara di ostentazione scatenata dalla window tax.

La tassa fu abolita nel 1851 e sostituita da una tassa immobiliare (11).

Note

(1) Seneca, Ad Lucilium de providentia
(2) Feldhaus, F.M.,  Die Technik, Wiesbaden 1914
(3) Völkers, Otto, Glas und Fenster, Berlino 1939
(4) Feldhaus, F.M.,  Die Technik, Wiesbaden 1914
(5) Völkers, Otto. Glas und Fenster, Berlin 1939
(6) Mumford, Lewis: Die Stadt. Geschichte und Ausblick, Teufen (AR) 1961, p. 329
(7) Herber, Mark D.: Ancestral Trails: The complete guide to British genealogy and family history. Sutton Publishing Ltd.1997, p.416
(8) Wolverhampton Archives
(9) Herber, op. cit., p. 16
(10) Richiesta di esenzione del 1776. Il termine daylight robbery (sottrazione di luce) è però di data molto più recente. Stando all’Oxford English Dictionary, esso appare solo nel 1916 nello spettacolo “Hobson’s Choise” di Harold Brighouse
(11) Wolverhampton Archives

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