In ogni
essere vivente è innato l’istinto di cercare l’ambiente più idoneo possibile
per la sua sopravivenza, naturalmente nei limiti delle proprie facoltà e
capacità di scelta. L’ambiente più idoneo è quello che meglio soddisfa le
esigenze fondamentali della specie e del singolo individuo; l’ambiente più
idoneo è quello che offre cibo, sicurezza e un clima adatto. Ciascuno di questi
tre fattori non ha priorità assoluta e non è definibile tramite un valore
fisso. Il valore varia entro determinati massimi e minimi e anche la priorità
solitamente è variabile. Una ricca offerta di cibo è sicuramente un fattore
positivo, ma la cosa più importante per la vita è che l’offerta non scenda
sotto il minimo necessario per la sopravivenza. La sicurezza può essere
definita come assenza di nemici o, in genere, di pericoli, ma dipende anche dalla
propria capacità di difesa e di sottrarsi al pericolo, quindi, anche questo
fattore è variabile. Ogni specie ha delle preferenze per quando riguarda il
clima, ma anche in questo caso è più semplice definire i valori limite entro i
quali una specie riesce a vivere. Il clima non è solo importante perché deve soddisfare
le esigenze fisiologiche della specie, ma anche quelle degli altri organismi di
cui la specie si nutre. Un cambiamento di clima, graduale o anche repentino,
può modificare e determinare la disponibilità del cibo, sia in modo positivo
che in quello negativo.
La
diffusione della specie umana dimostra che l’organismo umano è in grado di
sopportare e di adattarsi a climi molto differenti. La specie umana si è
diffusa dalla regione calda e fertile dell’Africa fino a regioni inospitali
come l’Artico, l’altopiano del Tibet e le montagne delle Ande. Già questo
dimostra che la gradevolezza del clima non è stato un criterio prioritario per
la scelta del luogo in cui insediarsi. Nei confronti di altri animali, l’uomo possiede
anche i mezzi per affrontare climi avversi: fuoco, utensili, vestiario,
comunicazione e capacità di costruire ripari. Grazie a questi mezzi, la
sicurezza e l’offerta di cibo potevano rimanere i criteri più decisivi per la
scelta di un determinato sito.
Ancora
dodici mila anni fa, l’uomo era nomade, per nutrirsi cacciava e raccoglieva i
frutti della natura spostandosi secondo le stagioni e seguendo gli animali da
preda nelle loro migrazioni. Le sue dimore erano capanne costruite ad hoc con i
materiali offerti dal luogo o tende trasportabili che dovevano soddisfare le
condizioni climatiche di ogni stagione. Una tenda e una capanna costruita con rami e
fogliame costituisce un buon riparo contro la pioggia, il sole, il vento e il
freddo e questo è già sufficiente a soddisfare le esigenze di individui che
altro non conoscono se non una modesta vita nomade di cacciatori e di
raccoglitori.
Per molto tempo si credeva che l’architettura sia nata, insieme
all’agricoltura e la pastorizia, solo nell’età neolitica, ma pochi decenni fa, nella
Turchia sudorientale, sul Göbekli Tepe e a Nevalı Çori sono stati scoperti dei monumenti sacrali risalenti al X millennio a.C. e
che testimoniano che gli abitanti di quella regione - indubbiamente cacciatori e raccoglitori - realizzavano
già delle opere architettoniche di grande pregio.
Il neolitico è l’epoca in cui l’uomo si trasforma da cacciatore e
raccoglitore in agricoltore e allevatore, in cui inventa la ceramica e in cui costruisce
i primi insediamenti stabili. L’abbandono del nomadismo, la sedentarietà,
l’abitare in un luogo più a lungo ha portato l’uomo alla costruzione di dimore
adeguate al particolare clima del luogo. Fermandosi più di una stagione in un
determinato luogo, l’uomo aveva più tempo per studiare le peculiarità del clima
locale e le sue variazioni nel corso dell’anno. Così acquisì, man mano, gli
elementi che gli permisero di adeguarsi a questo clima, e di sviluppare e
perfezionare le tecniche di costruzione. L’uomo imparò l’utilizzo dei materiali
che il luogo offriva – pietra, argilla, legno – per costruire dimore più
durature e apprese a costruirle in modo che il loro interno potesse offrire
condizioni abitative migliori rispetto alla tenda e ai ripari occasionali. Questo
passaggio dal nomadismo alla sedentarietà, dalla caccia all’allevamento, dalla
raccolta all’agricoltura, nel 1925 è stato chiamato dallo scienziato
australiano V.G.Childe “rivoluzione neolitica”[1].
La costruzione di edifici in rapporto col clima locale, si chiama
“architettura climatica” che si distingue da quella detta “architettura solare”,
focalizzata principalmente sullo sfruttamento dell’energia solare, benché anche
nell’architettura climatica il sole sia un importante fattore che può però avere
una valenza positiva o negativa: infatti, nelle regioni poco soleggiate la
gente cerca il sole, mentre nei paesi caldi lo fugge.
Il
principale scopo dell’architettura climatica è quello di creare ambienti che
offrano un clima più gradevole di quello esterno che varia tra sole e pioggia,
tra troppo caldo e troppo freddo.
A una prima
valutazione, possiamo considerare “climatici” tutti
gli edifici tradizionali perché, in tutto il mondo,
l’architettura tradizionale è stata concepita proprio in riguardo alle
specifiche condizioni climatiche locali - sole, vento, precipitazioni, temperatura, umidità –
e, non bisogna dimenticarlo, secondo i materiali locali disponibili, nonché
second le abitudini, i costumi e le credenze della gente.
Bisogna però anche dire che non tutta l’architettura del passato è stata
“climatica” nel senso che abbiamo appena spiegato. Ci sono molti esempi che
dimostrano, in definitiva, una realtà ben diversa. Ne sono testimonianze le architetture di esportazione. Esempi storici
sono ville romane, che gli antichi Romani costruivano nelle loro province
oltralpe e, nei nostri tempi, l’architettura europea che si è diffusa nelle
regioni tropicali di tutto il mondo. La casa romana, nata nella mite Campania,
era adatta al clima mediterraneo, ma non a quello più freddo e più umido della
Gallia e della Germania. Ciò nonostante si diffuse la “moda” di costruire “alla romana”, cioè secondo questo
modello d’origine mediterraneo.
Un altro esempio è la casa giapponese che fu di fatto concepita nella parte
meridionale dell’arcipelago nipponico, in un clima subtropicale. Poiché era
l’espressione di una cultura superiore, questo tipo di casa si diffuse anche
nel Nord del paese, nell’isola di Hokkaido, dove gli inverni sono nevosi e
molto rigidi e dove persistono antiche tradizioni legate alla cultura degli Ainu, una minoranza etnica immigrata
nell'isola dal Nord. Basti pensare alle sculture di ghiaccio costruite ogni
anno, nell’ambito dello Snow Festival di Sapporo, capitale di quell’isola.
L’aspetto climatico è facilmente riconoscibile nell’architettura
tradizionale sia dei paesi caldi che in quella dei paesi freddi. Nelle regioni
con un clima caldo e secco, come ad esempio l’Africa settentrionale e il Medio
Oriente, incontriamo un tipo di casa che offre molta ombra e protegge dai raggi
cocenti del sole. Queste case possiedono
muri molto spessi, costruiti con blocchi di fango o con la terra cruda pestata,
che attenuano gli scambi termici tra esterno e interno. Inoltre sono dotate di raffinati sistemi di
ventilazione.
Tipologie architettoniche sviluppate in rapporto
alle condizioni climatiche locali
Nelle regioni con clima
caldo e umido, come ad esempio la Polinesia, le case tradizionali sono invece
aperte su tutti i lati per consentire un massimo di ventilazione. Un grande
tetto con falde molto ripide offre ombra e ripara dalle violenti piogge
stagionali.
Nelle
regioni particolarmente fredde, come ad esempio la Groenlandia, la Siberia e l’Alaska,
il sole può contribuire ben poco al riscaldamento delle case. Ciò che conta di
più in queste regioni è l’ottimo isolamento termico, la protezione dal freddo e
dal vento. Materiali da costruzione con una discreta proprietà termoisolante sono
il legno, la paglia e l’argilla e, nella zona artica, anche la neve.
L’isolamento termico può essere regolato con lo spessore delle pareti. Prima
dell’avvento dei moderni materiali termoisolanti, molte case erano interrate su
due o tre lati in modo tale che solo il lato sottovento con l’ingresso
rimanesse in vista, così come anche il tetto ricoperto di zolle erbose.
Nell’architettura delle
regioni con un clima temperato, come ad esempio l’Europa centrale e
meridionale, gli accorgimenti climatici non sono così evidenti come nelle
regioni più calde o più fredde. Nei climi temperati si tratta di far penetrare
nelle case molto sole in inverno e di offrire ombra in estate. Nelle regioni
temperate dell’emisfero nord, l’orientamento più vantaggioso delle case è
quello verso sud, mentre nell’emisfero Sud l’orientamento più conveniente è quello
verso nord. Orientare una casa verso la direzione più conveniente è più
facilmente realizzabile laddove c’è sufficiente spazio, per esempio, in
campagna piuttosto che in città, dove i vincoli sono molteplici.
In ogni caso, l’architettura climatica cerca di creare degli ambienti che
offrano un clima confortevole nel
corso di tutto l’anno. Questo benessere
climatico, oltre ad essere legato a fattori fisiologici, dipende anche da
fattori legati alle abitudini. Oggi, nell’Europa
centrale, una temperatura estiva di 30°C all’interno di una casa, è considerata
eccessivamente alta e perciò non più confortevole, mentre a Bagdad, dove in
estate il termometro può raggiungere anche i 50°C, questa temperatura interna è
considerata persino gradevole.
Per
quanto riguarda le antiche case tradizionali, il comfort termico, non può certo
essere paragonato all’odierno standard delle case europee o nordamericane, spesso
climatizzate. Ancora all’inizio del Novecento, la maggior parte delle case
europee non possedeva un impianto di riscaldamento centrale. In quell’epoca, il
riscaldamento centrale
stava giusto per entrare nelle case dei ceti benestanti. Nelle case degli
operai e dei contadini l’unica fonte di calore cera il focolare della cucina,
ma questo focolare era anche fonte di fumi e fuliggini – una situazione,
questa, oggi consideriamo tutt’altro che salubre.
Nei climi temperati, il
principio di orientare la facciata principale di una casa verso il sole è però
sempre valido, a Sud quando ci troviamo sull’emisfero Nord, a Nord quando ci
troviamo sull’emisfero opposto. In inverno, quando la posizione del sole a
mezzogiorno è bassa, tale orientamento consente ai raggi del sole di penetrare attraverso
le finestre fino nella profondità negli ambienti, e, in estate, quando la sua
posizione è alta, basta una semplice tettoia, un pergolato o un porticato per
ombreggiare facciata e finestre.
La consuetudine di costruire gli edifici in rapporto al clima locale ha subito un forte declino nel ventesimo secolo, quando il petrolio e l’elettricità divennero energie a buon mercato e disponibili ovunque: negli Stati Uniti già prima, mentre in Europa dopo la Seconda Guerra mondiale. Climatizzare gli edifici e mantenere negli ambienti una temperatura costante di circa 20°C, sia in estate sia in inverno, e in qualsiasi luogo del mondo, era considerato segno di progresso ed espressione di modernità. Già nel 1928, il grande architetto finlandese Alvar Aalto riteneva che: “Il nuovo stile è internazionale. E il clima non comporta fondamentali differenze ….”. Bisogna però aggiungere che Alvar Aalto ha sempre tenuto conto dell’ottimale esposizione delle abitazioni da lui progettate.
Così
finisce l’era dell’architettura climatica tradizionale. L’architettura moderna
è internazionale e l’abbondanza di petrolio e di gas naturale consente di
climatizzare tutti gli edifici, ovunque questi siano, senza tenere conto delle
condizioni climatiche e senza far ricorso alle esperienze secolari
dell’architettura climatica tradizionale.
L’euforia,
tuttavia, fu di breve durata, in Europa dagli anni cinquanta circa fino agli
anni settanta, ma la prima crisi del petrolio suscitò un certo ripensamento e
portò all’ideazione e alla costruzione di edifici a basso consumo energetico e
di edifici passivi in cui il sole può offrire effettivamente un notevole
contributo al riscaldamento. Ma le cose non possono certo cambiare da un giorno
all’altro: il patrimonio immobiliare oggi esistente è ancora composto, per
quasi il 100 per cento, di edifici convenzionali che consumano dieci volte più
energia rispetto a un edificio passivo. Oggi dipendiamo ancora ampiamente dalle
fonti energetiche non rinnovabili sia per la climatizzazione degli edifici, che
per la mobilità motorizzata che, messe insieme, consumano circa il 90 per cento
dell’energia primaria.
Solo pochi
architetti chiamati a costruire in paesi particolarmente caldi – tra cui Le
Corbusier in India e Oscar Niemeyer in Brasile – hanno progettato i loro
edifici in rapporto al clima locale. Recentemente si è aggiunto anche Sir
Norman Foster che sta costruendo ad Abu Dhabi la nuova città di Masdar,
alimentata esclusivamente con energie rinnovabili e dotata di edifici
progettati secondo i criteri dell’architettura climatica locale.
[1]
L’espressione “rivoluzione neolitica” è stata coniata negli anni ’20 del
Novecento dall’archeologo australiano Vere Gordon Childe (1892-1957), ritenuto il padre della moderna paleoetnologia, che ha portato la preistoria da semplice studio
antiquario a vera e propria scienza storica.
Nessun commento:
Posta un commento