Gli odierni fautori dell’architettura
solare fanno spesso riferimento al cosiddetto heliocaminus. Purtroppo
non si sa di preciso che cosa sia.
Heliocaminus
è una parola rara negli antichi testi latini. Infatti essa appare solo due
volte: una volta nelle Epistole di Plinio il Giovane e un’altra nei
Digesti, una
compilazione di frammenti di opere di giuristi romani realizzata su incarico
dell'imperatore Giustiniano I.. La parola di solito viene interpretato come
“stanza esposta al sole” (1),
o “stanza che serviva a raccogliere la maggiore quantità possibile di sole”,
qualcosa cioè simile a un solarium, oppure un appartamento esposto al
sole usato come dimora invernale (2)
La voce non compare negli scritti di
Vitruvio che, essendo architetto, avrebbe dovuto conoscerla.
Le terme con heliocaminus di Tivoli
Nella villa
Adriana di Tivoli, presso Roma, a ridosso
dell'area occupata dalla residenza repubblicana e unito ad essa con un
corridoio, esistono i
resti di un edificio che viene chiamato “heliocaminus” e che faceva
parte di un piccolo edificio termale. Il locale è una sala
rotonda coperta da una cupola a
scrigno con occhio centrale – il "lumen"
chiuso da un clipeo bronzeo che, azionato da catene, consentiva di regolare la
quantità di calore e di vapore acqueo. La sala era fornita di una grande vasca circolare e, sul lato
sud-occidentale, aveva cinque grandi finestre con
vetrate di modesta dimensione fissate tra di loro con colate di piombo
all'intelaiatura di ferro o di bronzo della grande apertura.
Le “Terme con heliocaminus” prendono nome da questo edificio che viene
chiamato heliocaminus. L’ambiente
fu riscaldato però non solo dal sole, ma aveva anche un impianto di riscaldamento
a pavimento (ad ipocausto). (Foto: Stefan
Ramseier)
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L’ambiente era riscaldato non solo dal sole, che vi
penetrava attraverso le cinque finestre, ma anche dal pavimento rialzato su suspensurae sotto il quale circolava dell'aria calda. Gli archeologi pensano che questo locale sia stato un solarium
o un sudatium, un tipo di sauna, perché sotto il pavimento si trovava
anche un impianto per la produzione d’acqua calda e di vapore (testudines)
(3).
Sezione dell’ambiente
detto “heliocaminus” nella Villa Adriana di Tivoli
(Fonte: habitat.aq.upm.es/boletin/n9/famvaz/i3amvaz.html)
La sala è stata
denominata heliocaminus
in riferimento a una voce che appare nella lettera di Plinio il Giovane
all’amico Gallo (Plinius epist. 17. lib. 2, 20) in cui descrive minuziosamente
la villa che possedeva a Laurentum, nei pressi di Ostia. In questa descrizione
egli accenna anche a un heliocaminus dicendo: “in hac heliocaminus quidem,
alia xystum, alia mare, utraque solem, etc., parla cioè di un bagno solare
che guarda da un lato verso una terrazza (xystum)
e dall’altro verso il mare, in modo da ricevere sole da ambedue i lati.
Nella sua lettera, Plinio il Giovane
descrive varie stanze e sale esposte al sole, ma solo per uno di questi
ambienti usa la parola heliocaminus. Questo induce a pensare che
l’ambiente in questione doveva avere una qualche particolarità che le altre stanze
orientate verso il sole non avevano. Credo che l’espressione scelta da Plinio
faccia riferimento alla forma architettonica dell’ambiente. In latino un caminus
è una fornace, detta in latino fornax. E una fornace è una costruzione
in muratura destinata alla cottura di laterizio e terrecotte. Le vecchie
fornaci, qualche esemplare è ancora in uso presso alcuni artigiani, erano a
pianta circolare con una cupola in alto e una piccola apertura dalla quale
fuoriuscivano i fumi. La fornace era riscaldata da sotto con un fuoco che
veniva acceso in una camera di combustione collocata nel basso della
costruzione (vedi figura). La forma era molto funzionale, distribuiva
uniformemente il calore, lo manteneva più a lungo al suo interno e faceva
risparmiare combustibile (legna o carbone di legna).
La parola heliocaminus bisognerebbe
pertanto tradurla come “forno solare” ed è riferibile ad un ambiente
particolarmente ben riscaldato, sia dal pavimento, da un ipocaustum, sia
dal sole che penetrava da finestre vetrate esposte verso il quadrante sud. Non
si tratta quindi di una stanza o di un appartamento esposto al sole e usato
come dimora invernale. La funzione era piuttosto quella di un sudatium e di un solarium.
Sembra che questo tipo di ambiente fosse
molto diffuso nelle ville di campagna (villae rusticae). Queste
sorgevano laddove vi era sufficiente
spazio per costruire estesi complessi, allo scopo di poter conferire ad ogni tipo di locale
l’orientamento più adeguato.
La seconda fonte in cui appare la parola heliocaminus
è il Digesto di Enea Domizio Ulpiano, uno degli ultimi grandi giuristi romani
(ca. 200 d.C.) dell’epoca classica. Nato a Tiro, in Fenicia, verso il 170 e
morto a Roma nel 228 d.C. apparteneva, insieme al suo collega Paolo, al concilium
del prefetto pretorio Papiniano, assunse poi la posizione di quest’ultimo e,
nel 228 d.C. venne assassinato da un gruppo di pretoriani in rivolta. La sua
attività di scrittore fu molto fertile. Egli, infatti, compilò circa 280 libri.
Estratti delle sue opere furono ampiamente impiegati nella redazione del
Digesto di Giustiniano.
In questa collezione di leggi, l’heliocaminus
è equiparato al solarium, a un ambiente in cui si prende il sole, oppure
che è riscaldato dal sole, ma in ogni caso a un luogo in cui il sole è
necessario.
Ulpiano dice
(4): “Si
arborem ponat, ut lumini officiat, aeque dicendum erit contra impositam
servitutem eum facere: nam et arbor efficit, quo minus caeli videri possit. Si
tamen id quod ponitur lumen quidem nihil impediat, solem autem auferat, si
quidem eo loci, quo gratum erat eum non esse, potest dici nihil contra
servitutem facere: sin vero heliocamino vel solario, dicendum erit, quia umbram
facit in loco, cui sol fuit necessarius, contra servitutem impositam fieri”.
Se
qualcuno sostiene che un oggetto è disposto in modo tale da togliere il sole a
un heliocaminus o ad un solarium, bisognerà accertare che questo
oggetto ombreggi veramente un luogo che necessita di sole.
Il
passo si riferisce chiaramente a una situazione urbana in cui è quasi
inevitabile che un alto edificio metta in ombra parte degli edifici adiacenti.
Ciò che la legge citata da Ulpiano garantisce è il diritto al sole di edifici
che hanno bissogno di essere soleggiati, come, per esempio, i bagni pubblici e,
in particolare le aule con i bagni caldi (calidarium e solarium)
che, per riscaldarli hanno bisogno di un apporto da parte del sole. Sul lato Sud
delle grandi terme di Roma erano pertanto disposte ampie aree destinate a
giardini e a campi sportivi, proprio per tenere libera la facciata meridionale
di questi grandi edifici da elementi ombreggianti. Il diritto al sole non era
un diritto universale, così come oggi lo interpretano alcuni fautori
dell’architettura solare (5), bensì una legge che riguardava in primo luogo gli
edifici pubblici e non già gli edifici privati.
Note
(1) Online Latein Wörterbuch
(www.albertmartin.de): ein nach der Sonnenseite gelegenes Zimmer
(2) Charlton Lewis
& Charles Short: A Latin Dictionary
(London: Oxford University Press, 1879) “an apartment exposed to the
sun, used as a winter abode(3) Manderscheid, Hubertus: Überlegungen zur Wasserarchitektur und ihrer Funktion in der Villa Adriana, p. 109-140, Römische Mitteilungen 107 (2000)
(4) Dig. 8, 2, 17 pr.
(5) Treberspurg, Martin, Neues Bauen mit der Sonne, p.47, Wien/New York (1994). Butti Ken & Perlin John, Golden Thread, p.27, Palo Alto (Ca.) USA (1980).
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