lunedì 30 settembre 2013

Clima mediterraneo - Roma antica - Heliocaminus


Gli odierni fautori dell’architettura solare fanno spesso riferimento al cosiddetto heliocaminus. Purtroppo non si sa di preciso che cosa sia.

Heliocaminus è una parola rara negli antichi testi latini. Infatti essa appare solo due volte: una volta nelle Epistole di Plinio il Giovane e un’altra nei Digesti, una compilazione di frammenti di opere di giuristi romani realizzata su incarico dell'imperatore Giustiniano I.. La parola di solito viene interpretato come “stanza esposta al sole” (1), o “stanza che serviva a raccogliere la maggiore quantità possibile di sole”, qualcosa cioè simile a un solarium, oppure un appartamento esposto al sole usato come dimora invernale (2)

La voce non compare negli scritti di Vitruvio che, essendo architetto, avrebbe dovuto conoscerla.

Le terme con heliocaminus di Tivoli

Nella villa Adriana di Tivoli, presso Roma, a ridosso dell'area occupata dalla residenza repubblicana e unito ad essa con un corridoio, esistono i resti di un edificio che viene chiamato “heliocaminus” e che faceva parte di un piccolo edificio termale. Il locale è una sala rotonda coperta da una cupola a scrigno con occhio centrale – il "lumen" chiuso da un clipeo bronzeo che, azionato da catene, consentiva di regolare la quantità di calore e di vapore acqueo. La sala era fornita di una grande vasca circolare e, sul lato sud-occidentale, aveva cinque grandi finestre con vetrate di modesta dimensione fissate tra di loro con colate di piombo all'intelaiatura di ferro o di bronzo della grande apertura.

Le “Terme con heliocaminus” prendono nome da questo edificio che viene chiamato heliocaminus.   L’ambiente fu riscaldato però non solo dal sole, ma aveva anche un impianto di riscaldamento a pavimento  (ad ipocausto). (Foto: Stefan Ramseier)

L’ambiente era riscaldato non solo dal sole, che vi penetrava attraverso le cinque finestre, ma anche dal pavimento rialzato su suspensurae sotto il quale circolava dell'aria calda. Gli archeologi pensano che questo locale sia stato un solarium o un sudatium, un tipo di sauna, perché sotto il pavimento si trovava anche un impianto per la produzione d’acqua calda e di vapore (testudines) (3).

 
Sezione dell’ambiente detto “heliocaminus” nella Villa Adriana di Tivoli  
(Fonte: habitat.aq.upm.es/boletin/n9/famvaz/i3amvaz.html)

La sala è stata denominata heliocaminus in riferimento a una voce che appare nella lettera di Plinio il Giovane all’amico Gallo (Plinius epist. 17. lib. 2, 20) in cui descrive minuziosamente la villa che possedeva a Laurentum, nei pressi di Ostia. In questa descrizione egli accenna anche a un heliocaminus dicendo: “in hac heliocaminus quidem, alia xystum, alia mare, utraque solem, etc., parla cioè di un bagno solare che guarda da un lato verso una terrazza (xystum) e dall’altro verso il mare, in modo da ricevere sole da ambedue i lati.

Nella sua lettera, Plinio il Giovane descrive varie stanze e sale esposte al sole, ma solo per uno di questi ambienti usa la parola heliocaminus. Questo induce a pensare che l’ambiente in questione doveva avere una qualche particolarità che le altre stanze orientate verso il sole non avevano. Credo che l’espressione scelta da Plinio faccia riferimento alla forma architettonica dell’ambiente. In latino un caminus è una fornace, detta in latino fornax. E una fornace è una costruzione in muratura destinata alla cottura di laterizio e terrecotte. Le vecchie fornaci, qualche esemplare è ancora in uso presso alcuni artigiani, erano a pianta circolare con una cupola in alto e una piccola apertura dalla quale fuoriuscivano i fumi. La fornace era riscaldata da sotto con un fuoco che veniva acceso in una camera di combustione collocata nel basso della costruzione (vedi figura). La forma era molto funzionale, distribuiva uniformemente il calore, lo manteneva più a lungo al suo interno e faceva risparmiare combustibile (legna o carbone di legna).

La parola heliocaminus bisognerebbe pertanto tradurla come “forno solare” ed è riferibile ad un ambiente particolarmente ben riscaldato, sia dal pavimento, da un ipocaustum, sia dal sole che penetrava da finestre vetrate esposte verso il quadrante sud. Non si tratta quindi di una stanza o di un appartamento esposto al sole e usato come dimora invernale. La funzione era piuttosto quella di un sudatium e di un solarium.

Sembra che questo tipo di ambiente fosse molto diffuso nelle ville di campagna (villae rusticae). Queste sorgevano laddove  vi era sufficiente spazio per costruire estesi complessi, allo scopo di  poter conferire ad ogni tipo di locale l’orientamento più adeguato.

La seconda fonte in cui appare la parola heliocaminus è il Digesto di Enea Domizio Ulpiano, uno degli ultimi grandi giuristi romani (ca. 200 d.C.) dell’epoca classica. Nato a Tiro, in Fenicia, verso il 170 e morto a Roma nel 228 d.C. apparteneva, insieme al suo collega Paolo, al concilium del prefetto pretorio Papiniano, assunse poi la posizione di quest’ultimo e, nel 228 d.C. venne assassinato da un gruppo di pretoriani in rivolta. La sua attività di scrittore fu molto fertile. Egli, infatti, compilò circa 280 libri. Estratti delle sue opere furono ampiamente impiegati nella redazione del Digesto di Giustiniano.

In questa collezione di leggi, l’heliocaminus è equiparato al solarium, a un ambiente in cui si prende il sole, oppure che è riscaldato dal sole, ma in ogni caso a un luogo in cui il sole è necessario.

Ulpiano dice (4): Si arborem ponat, ut lumini officiat, aeque dicendum erit contra impositam servitutem eum facere: nam et arbor efficit, quo minus caeli videri possit. Si tamen id quod ponitur lumen quidem nihil impediat, solem autem auferat, si quidem eo loci, quo gratum erat eum non esse, potest dici nihil contra servitutem facere: sin vero heliocamino vel solario, dicendum erit, quia umbram facit in loco, cui sol fuit necessarius, contra servitutem impositam fieri”.

Se qualcuno sostiene che un oggetto è disposto in modo tale da togliere il sole a un heliocaminus o ad un solarium, bisognerà accertare che questo oggetto ombreggi veramente un luogo che necessita di sole.

Il passo si riferisce chiaramente a una situazione urbana in cui è quasi inevitabile che un alto edificio metta in ombra parte degli edifici adiacenti. Ciò che la legge citata da Ulpiano garantisce è il diritto al sole di edifici che hanno bissogno di essere soleggiati, come, per esempio, i bagni pubblici e, in particolare le aule con i bagni caldi (calidarium e solarium) che, per riscaldarli hanno bisogno di un apporto da parte del sole. Sul lato Sud delle grandi terme di Roma erano pertanto disposte ampie aree destinate a giardini e a campi sportivi, proprio per tenere libera la facciata meridionale di questi grandi edifici da elementi ombreggianti. Il diritto al sole non era un diritto universale, così come oggi lo interpretano alcuni fautori dell’architettura solare (5), bensì una legge che riguardava in primo luogo gli edifici pubblici e non già gli edifici privati.

Note

(1) Online  Latein Wörterbuch (www.albertmartin.de): ein nach der Sonnenseite gelegenes Zimmer
(2) Charlton Lewis & Charles Short: A Latin Dictionary  (London: Oxford University Press, 1879) “an apartment exposed to the sun, used as a winter abode
(3) Manderscheid, Hubertus: Überlegungen zur Wasserarchitektur und ihrer Funktion in der Villa Adriana, p. 109-140, Römische Mitteilungen 107 (2000)
(4) Dig. 8, 2, 17 pr.
(5) Treberspurg, Martin, Neues Bauen mit der Sonne, p.47, Wien/New York (1994). Butti Ken & Perlin John, Golden Thread, p.27, Palo Alto (Ca.) USA (1980).

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